La shoah nelle parole del Papa: «L’Olocausto un dramma antropologico»

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Nella giornata della memoria cogliamo il dramma antropologico, attraverso le parole di Papa Francesco. Mai come in quel momento l’uomo è caduto così in basso.

Nel 2014 il Papa di suo pugno scrisse una lettera all’amico rabbino di Buenos Aires, Abraham Skorka, presente a Roma: «Mai più l’orrore della Shoah, … mai più si ripetano tali orrori, che costituiscono una vergogna per l’umanità».

Sempre nel 2014 durante il viaggio in Terra Santa, nel museo dello Yad Vashem, gridava il dolore di Dio: «“Adamo, dove sei?” (Gen. 3,9). Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: “Adamo, dove sei?”. …Quel grido: “Dove sei?”, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo… Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?».

Nel 2015 nel settantesimo anniversario della liberazione dal campo di sterminio Papa Francesco scrisse: «Auschwitz grida il dolore di una sofferenza immane e invoca un futuro di rispetto, pace ed incontro tra popoli».

Nel 2016 visitò la Sinagoga di Roma: «Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: “sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. … Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. … le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace».

Nel 2017 durante l’udienza privata, Francesco si rivolse alla delegazione dello European Jewish Congress con queste parole: «L’Olocausto è un memoriale della crudeltà umana».

Nel 2018 ribadì con forza: “Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine, è capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia”.

Nel 2019 affermò: “Non dimentichiamo le vittime dell’Olocausto, la loro indicibile sofferenza continua a gridare all’umanità: siamo tutti fratelli!”.

Lo scorso anno, durante l’Angelus del 27 gennaio ha ricordato: «Oggi ricorre il 75° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Davanti a questa immane tragedia, a questa atrocità, non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria. … ciascuno nel proprio cuore dica: mai più!».

Leggendo questi interventi del Papa, è chiaro che egli non presta il fianco a nessun fraintendimento. È finito per sempre per la Chiesa il tempo dell’«insegnamento del disprezzo», come osservava lo storico francese ebreo Jules Isaak, un sopravvissuto alla Shoah. Egli sosteneva che: «il grido mostruoso: “il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”, non potrebbe mai prevalere sulla frase: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”». I cristiani non possono accettare giustificazioni per un comportamento che rivela un livello bassissimo di umanità. Tanto meno possono pensare che la fede in Gesù, ebreo, giustifichi tali aberrazioni. Al contrario per Cristo tutto questo rappresenta una sconfitta e una mortificazione inaudita. A Jules Isaak fa eco una preghiera attribuita a papa Giovanni XXIII «Perdonaci per la maledizione che abbiamo attribuito ingiustamente al loro nome di ebrei. Perdonaci per averti una seconda volta crocifisso in essi, nella loro carne, perché non sapevamo quello che facevamo». Dopo la Shoah la nascita di una nuova umanità passa necessariamente per l’amicizia fra ebrei e cristiani, nella consapevolezza di essere fratelli.

Bisogna continuare a sviluppare una più ampia riflessione teologica sul rapporto tra ebrei e cristiani, alla luce del dramma della Shoah.

Purifichiamo la memoria e rinnoviamo nella fratellanza i rapporti con il popolo d’Israele, che non è “perfido” né “maledetto”, ma conserva la primogenitura, è il popolo eletto della promessa divina mai revocata. Per i cristiani si tratta di una urgente maturazione, adeguando la predicazione, le catechesi, la lettura della Scrittura libera da pregiudizi.

Dal rapporto dell’Osservatorio italiano sull’antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) relativo al primo trimestre del 2020, i dati sono allarmanti: gli atti di antisemitismo negli ultimi due anni sono più che raddoppiati. A livello internazionale crescono le minacce al popolo ebraico.

C’è bisogno di coraggio anche per la teologia. Un grande esempio ci viene offerto dai teologi fondatori della collana Sources Chrétiennes, avviata nel 1942: alcuni padri gesuiti, Victor Fontoynont, Jean Daniélou, Claude Mondésert, Pierre Chaillet ed Henri de Lubac; il biblista domenicano padre Thomas-Georges Chifflot, direttore di Éditions du Cerf; Henri-Irénée Marrou, Stanislas Fumet, Gustave Bardy. La collana ebbe subito un grande valore culturale e simbolico. Nel 1943 uscì il primo volume a Parigi, occupata dai tedeschi nazisti e nel pieno delle persecuzioni antisemite: Contemplazione della vita di Mosè, di Gregorio di Nissa. Jean Daniélou – con parresìa – nella prefazione mise in evidenza come le radici cristiane affondano in Mosè e nell’ebraismo, senza paura delle ritorsioni. Con la Contemplazione della vita di Mosè si scelse di far vedere il primato di Mosè sui filosofi, un tema già caro all’apologetica ebraica.

Facciamo nostre le parole di Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

La teologia ha un ruolo importante per la fratellanza fra ebrei e cristiani e per formare coscienze che non cadano di nuovo nell’abisso.

* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia.