Possiamo dire che l’attuale momento ecclesiale è spiritualmente caratterizzato dalla valorizzazione della parola di Dio e dalla scoperta dell’altro (i temi etici, la solidarietà, il rispetto delle differenze e dei diversi ecc.). Il cristiano è chiamato a tenere insieme questi due poli che si sintetizzano nella carità, nell’agape. La parola di Dio è sacramento dell’amore del Padre per noi che diviene comando di amare rivolto a noi: «Tu amerai» (Lv 19,18; Mc 12,30.31 ecc.).
E l’altro è per noi un costante appello all’amore; è il «fratello per cui Cristo è morto» (1Cor 8,1 1) e verso il quale noi abbiamo «il debito dell’amore» (Rm 13,8). La vita spirituale tende alla santità e il contenuto della santità è la carità (Lg 42): l’amore di Dio e dei fratelli, atto indissolubilmente unico e unitario. Separare parola di Dio e volto dell’altro, come oggi avviene a causa di una pastorale che, avendo smarrito le proprie radici, il proprio significato e la propria pregnanza, ha assunto i modi e le forme dell’assistenza sociale e si esaurisce in un attivismo caritativo, significa ancora una volta tradire quell’arte dell’unificazione a cui ci chiama la vita spirituale cristiana.
La vita spirituale del cristiano oggi richiede da parte di tutti noi una vera e propria revisione. Si tratta di andare di nuovo all’essenziale della vita spirituale e di dare quel fondamento che è Gesù Cristo. Senza di questo, rischieremo di vivere in un mondo con una domanda forte di spiritualità ma che va alla deriva e che finirà per trovare risposte sempre più extracristiane. Soltanto se siamo capaci di ricentrare la spiritualità su Cristo, su di lui come il Signore, il Figlio di Dio, colui che ci salva e ci ha insegnato a vivere umanamente e ad andare al Padre nella sua sequela, allora noi saremo anche capaci di avere una spiritualità eloquente per quanti cercano vie dello spirito in questo mondo segnato dall’asfissia spirituale.