Le malattie dello spirito (Romano Guardini)

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Chiunque sa qualcosa dell’amore, conosce questa legge: che solo nell’andar via da se stesso s’afferma quel senso di aperta vastità in cui l’io diventa reale e tutte le cose fioriscono.

Affiora di nuovo a questo punto la domanda se la persona possa essere minacciata. Essa lo può realmente, ma solo là dove sta la sua garanzia essenziale. Premettiamo un’altra domanda: può ammalarsi lo spirito? Non parliamo di quelle che il linguaggio corrente designa come “malattie dello spirito”. In esse si tratta in realtà di disturbi delle funzioni cerebrali, della vita istintiva, dei processi dell’immaginazione, dell’esperienza della realtà e cosí via. Tali disturbi non toccano lo spirito in quanto tale, ma solo i suoi sostrati fisici e organici. Essi bloccano i suoi atti; ma sono anche prove, nel cui superamento cresce lo spirito. Però lo spirito non esiste simpliciter, indipendente dai suoi contenuti. Esso non può condurre la sua vita come gli piace, senza che questo non si ripercuota sul suo stesso essere. La vita dello spirito – e qui sta la sua caratteristica – è garantita non solo da ciò che è, ma anche in definitiva da ciò che vale: dalla verità e dal bene. Se lo spirito viene meno in ciò, si compromette in quanto spirito. La semplicità e la indistruttibilità, che sono le prerogative con cui si suole definire lo spirito, lo preservano sí da danni come quelli che avvengono ai corpi composti, ma non dalle conseguenze delle decisioni a riguardo dei valori. Se esso decade dalla verità, s’ammala. Questo genere di caduta non si verifica se l’uomo sbaglia, ma se rinuncia alla verità; non se mente anche copiosamente, ma se non accetta piú come obbligante la verità in quanto tale; non se inganna un altro, ma se orienta la sua vita a distruggere la verità. Allora egli s’ammala nello spirito. Non è necessario che ciò abbia anche effetti psicopatici; un uomo di tal genere potrebbe essere anche molto potente e ricco di successo. Ciononostante egli è malato, e un osservatore psichicamente o anche spiritualmente penetrante, se ne dovrebbe accorgere. Tutto ciò potrebbe avere anche sviluppi psicologici e determinare disturbi clinicamente definibili. Ma nessuna psichiatria potrebbe guarirlo da tale malattia: dovrebbe, se vuol guarire, convertirsi. Una conversione francamente non facile per cui possa bastare un atto di volontà. Dovrebbe consistere in una totale inversione dei significati e sarebbe piú difficile di ogni trattamento terapeutico.

Da simili riflessioni appare chiaro che la persona in quanto tale può essere minacciata: quando cioè l’uomo si distoglie da quelle realtà e da quelle norme che garantiscono la persona: dalla giustizia e dall’amore. La persona s’ammala, se decade dalla giustizia. Non già allorquando commette ingiustizia anche abbondantemente, ma quando rifiuta la giustizia. Giustizia è riconoscere che le cose hanno la loro essenza, ed essere pronti a prender per vero il diritto dell’essenza e gli ordini che ne conseguono. Come persona, l’uomo è affrancato nell’indipendenza dell’essere e nell’iniziativa dell’agire, senza essere Dio; la condizione perché tale modo di essere abbia significato è che esso si ponga nell’ordine fondato dalla verità, e cioè, appunto, nella giustizia, anzi che faccia della giustizia il suo proprio compito. La persona finita è significativa solo in ordine alla giustizia; se devia da essa diviene pericolante e pericolosa: una potenza senza ordine. Proprio per questo s’ammala come persona. Non sussiste piú rettamente in se stessa.

Egualmente decisivo per la sanità della persona è l’amore. Amore significa vedere la forma del valore nell’esistente distinto da sé, soprattutto se personale; intuire la sua validità; sentire che è importante che sussista e si dispieghi; essere afferrati dall’ansia per tale realizzazione come fosse la propria. Chi ama passa di continuo nella libertà; nella libertà dalle sue vere catene, cioè da se stesso. Ma appunto con questo aprirsi del suo vedere e del suo sentire, egli si compie. Tutto s’apre intorno a lui, e il suo io guadagna spazio.

Chiunque sa qualcosa dell’amore, conosce questa legge: che solo nell’andar via da se stesso s’afferma quel senso di aperta vastità in cui l’io diventa reale e tutte le cose fioriscono. In questo spazio si attua la vera opera e la pura azione; tutto ciò che attesta che il mondo dell’essere è degno. Non appena la persona rifiuta questo amore, s’ammala. Non già quando l’uomo manca contro l’amore, l’offende, cade nell’egoismo e nell’odio, bensí quando sottrae ogni serietà all’amore, e imposta la propria vita sul calcolo, la violenza e l’astuzia. Allora l’esistenza diventa una prigione. Tutto si rinserra in sé. Le cose ci soffocano. Ognuna si fa interamente straniera e nemica. Scompare l’ultimo illuminante significato. L’essere non fiorisce piú.