«L’EDUCAZIONE È UN ARGINE AL CAOS DEL NOSTRO TEMPO»

Articoli home page

Pubblichiamo la sintesi dell’intervento che Chiara Giaccardi, docente di Sociologia e Antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano, ha tenuto sabato 3 dicembre presso l’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, nel corso della tavola rotonda “L’orizzonte dell’educativo” organizzata dalla basilica di San Pietro e dalla Fondazione “Fratelli tutti”

Pubblichiamo una sintesi dell’intervento che Chiara Giaccardi, docente di Sociologia e Antropologia dei media presso l’Università Cattolica di Milano, ha tenuto sabato 3 dicembre, alle 14,30, presso l’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, durante il terzo e ultimo incontro dei “Cammini giubilari sinodali” di quest’anno dal titolo “Riconoscersi sulla soglia dell’educativo”. Il ciclo di appuntamenti è organizzato dalla basilica di San Pietro e dalla Fondazione Fratelli tutti. I lavori sono stati aperti alla presenza del cardinale Mauro Gambetti, arciprete della basilica papale di San Pietro. Alla tavola rotonda “L’orizzonte dell’educativo”, oltre a Giaccardi, sono intervenuti Francesco Ghirelli, presidente di Lega Pro e vice presidente della Figc, e monsignor Armando Matteo, segretario per la Sezione dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Ho individuato tre passaggi che mi sembrano fondamentali per riflettere sulle sfide dell’educazione oggi.

Il primo è il contesto: in che mondo viviamo. Il mondo di oggi è profondamente diverso rispetto anche solo a quello di cinque anni fa con la pandemia che ha segnato una cesura nettissima e si susseguono gli shock globali come la guerra. I nostri metodi e le idee di educazione spesso sono legati a un mondo che non esiste più e questo è un grave peccato di omissione. Per educare bisogna stare nel mondo, ascoltarlo e accompagnare chi ci vive. Attualmente viviamo nell’età dell’antropocene, l’era in cui l’essere umano distrugge le condizioni stesse della sua esistenza e sopravvivenza. Questo tempo è un tempo entropico, caratterizzato dall’aumento del disordine e del caos che può portare alla morte del sistema. L’entropia è costituita dalla frammentazione e innesca una perdita della diversità. Lo sguardo educativo deve essere capace di riabbracciare tutte le dimensioni ecologiche dell’umano, l’ecologia personale, perché le persone sono sempre più frammentate al loro interno, quella sociale, perché siamo in una società che produce scarti non in maniera collaterale ma strutturale, il rapporto con l’ambiente, la perdita completa di una dimensione spirituale che non è solo religiosa ma abbraccia vari aspetti dell’umanità, dall’arte all’apertura al mistero e alla trascendenza. Questa deriva entropica va contrastata.

Il secondo punto riguarda l’antropologia relazionale. La pandemia ci ha rivelato che siamo tutti connessi e che la distanza sociale viene vissuta come una forzatura, qualcosa di innaturale e questo deve farci riflettere sul fatto che l’antropologia individualista, sulla quale abbiamo basato i nostri modelli di comunicazione, è un astrazione, è irrealistica ed è totalmente inadeguata di affrontare le dinamiche del nostro tempo. L’educazione parte del riconoscimento del limite e della relazionalità. L’interindipendenza significa che siamo tutti insieme liberi e legati tra di noi, e questo costituisce un limite, ma responsabili e capaci di agire in questa relazionalità. C’è questo paradosso che caratterizza la relazione che ha un primato ontologico prima che etico, noi siamo relazione non produciamo relazioni.

Il terzo punto è il fondamento dell’educazione. L’educazione in questo tempo è più che necessaria perché è il modo di contrastare e contenere questa entropia, di rimettere insieme i frammenti, di ricomporre l’unità della persona e dei legami sociali, di rigenerare anche un pensiero che si sta perdendo ed è sempre più colonizzato dalla tecnoscienza e dall’idea del superamento di ogni limite. Un pensiero che non sia calcolo, raziocinio, riduzione al numerico viene disprezzato e messo da parte. L’educazione, invece, è e deve essere una via neghentropica per prendersi cura delle ferite di questo mondo che sono personali, ambientali e sociali.

L’educazione non è un modello trasmissivo, non è conformare né trasmettere contenuti ma un processo relazionale di reciprocità e di trasformazione e non di conformazione. Si basa su una relazione che è una relazione di reciproca rigenerazione di chi educa e di chi è educato. Questo è un aspetto fondamentale ma poco praticato. L’educazione la leggiamo in termini “epimeletici” che significa prendersi cura come capacità di vedere, prestare attenzione, dedicarsi e coinvolgersi. E poi di impegnarsi mettendo cura. L’educazione è prendersi cura delle fratture di questo mondo. È rigenerare e rigenerarsi. Deve instaurare una dinamica di reciprocità capace di coinvolgere l’intero della persona, corporeità, intelletto, sensibilità.

L’educatore è un’autorità generativa che deve avere la capacità non tanto di essere un “bollino di qualità” ma avere la capacità di dare gli strumenti, accompagnare l’esperienza, trasmissione della capacità di un desiderio, di una spinta a uscire da se. L’autorità deve essere una porta aperta che si fa attraversare e lascia passare, senza trattenere.