«La giornata di oggi è dedicata a meditare sull’impegno personale che il Signore richiede a ciascuno di noi, in funzione della vocazione ricevuta, del dono di grazia, con i doveri connessi a questa grazia» ha fatto presente il predicatore, ricordando che «ogni forma di trascuratezza, di pigrizia, equivale a malvagità e disprezzo nei confronti di Dio».
È «dunque a coloro che il Signore ha consacrato con l’unzione sacerdotale che oggi va rivolta la domanda: qual è il primo, fondamentale servizio che il ministro di Dio è chiamato a svolgere?». Senza dubbio, ha affermato il gesuita, «oggi, in una società malata, ferita, abbandonata, di fronte a necessità urgenti e dolorose, il sacerdote è sollecitato a prestazioni molteplici. Tuttavia ciò non deve far perdere di vista l’essenziale».
Padre Bovati ha indicato anzitutto «la preghiera» che, «oltre a essere la condizione dell’ascolto di Dio che rende possibile la predicazione come autentica testimonianza, è essa stessa ministero apostolico nella sua natura di accoglienza, riconoscenza della grazia». E «la Scrittura ci offre un modello di questo ministero permanente di intercessione nel Libro dell’Esodo — ha spiegato il predicatore — proprio con la figura di Mosè, mediatore non solo della Parola di Dio, ma anche mediatore di grazia per un popolo in costante pericolo di perdersi». Mosè «prega continuamente e la sua preghiera è efficace e salvifica».
Attualizzando «il ministero orante di Mosè», com’è presentato «nel racconto del capitolo 17 dell’Esodo, in un contesto di pericolo», padre Bovati ha suggerito come linea della meditazione, appunto, l’espressione «lotta e preghiera». Ci troviamo davanti a «un episodio insolito per l’Esodo: il presentarsi di un combattimento che deve respingere un popolo nemico, Amalek». Il testo, ha avvertito il predicatore, va letto «nel suo valore parabolico, in modo da trarne un insegnamento su come colui che nella comunità è sacerdote e guida deve agire nell’affrontare il nemico, colui che insidia la vita del popolo di Dio». Mosè ha a che fare con «un avversario subdolo che aggredisce i più deboli della carovana, quelli che restano nelle retrovie perché stanchi, un nemico che approfitta di un popolo sfinito».
Ma noi «come oggi viviamo il rapporto con Amalek e chi è oggi Amalek?» è la questione concreta proposta da padre Bovati. «La Chiesa cristiana, fin dai suoi primi momenti, ha subito attacchi, persecuzioni, ostracismi e violenze mortali». Nella storia «il nemico della Chiesa ha preso variegate sembianze, talvolta quelle del potere politico e giudiziario, talvolta quelle di falsi profeti che hanno seminato odio e derisione contro le convinzioni e il modo di vivere dei cristiani. E ciò continua anche ai nostri giorni, sotto forme persecutorie» più o meno evidenti. Una persecuzione, ha denunciato, che ha note di «inaudita virulenza anche nel nostro mondo, nell’intento di demolire l’intera compagine della Chiesa, attaccando chi è più debole nella fede, scarsamente attrezzato dal punto di vista spirituale per accettare il confronto, il disprezzo, l’emarginazione».
Ecco che, ha affermato, «il nostro Amalek ha forme accattivanti per molti e attacca subdolamente chi non è preparato. Enormi forze ideologiche e finanziarie, coalizzate per favorire interessi di parte, sono diventate minacciose e usano tutti i mezzi, dall’informazione distorta a ritorsioni economiche, per distruggere ciò che Cristo ha fondato». Certo, ha rilanciato padre Bovati, «la roccia su cui è edificata la Chiesa resisterà al male, non però senza la nostra attiva partecipazione di fede e la preghiera».
«Fuori metafora e pensando a ciò che ci è oggi richiesto per combattere la buona battaglia del Regno di Dio — ha affermato il predicatore, presentando la figura di Giosuè che scende in battaglia — dobbiamo interrogarci con quali strumenti affrontiamo chi, con l’inganno e la violenza, ostacola il bene. Forse alcune armi sono desuete, inadatte, insufficienti. La preparazione culturale nelle scienze umane e scienze religiose deve essere oggetto di doveroso discernimento se non si vuole essere ingenui e irresponsabili di fronte a una aggressiva ondata di dottrine e pratiche contrarie al Vangelo, in presenza di falsi profeti ». Inoltre «le istituzioni tradizionali ritenute utili richiedono forse cambiamenti coraggiosi». Per questo, ha riconosciuto, «la formazione umana e spirituale dei chierici e dei laici appare oggi una priorità apostolica».
Con efficacia padre Bovati ha delineato il profilo di Mosè in preghiera, con «lo sguardo verso Dio, non perché si disinteressi della battaglia, ma perché vuole indirizzarla alla più completa vittoria. Mosè sul monte rappresenta la forza segreta che conduce l’esercito al trionfo: l’immersione in Dio è la condizione indispensabile perché il combattimento sulla terra abbia successo». Sì, «la vittoria si ottiene con le braccia alzate, con il gesto tradizionale dell’orante: l’esito della guerra non è nelle mani del guerriero, Giosuè, ma in quello di Mosè che invoca Dio». Con un’annotazione sull’«aspetto della fatica di chi sta con le mani alzate, una spossatezza diversa da quella dei combattenti eppure reale». Ed è con «umiltà che Mosè si fa aiutare per realizzare la sua missione dai sacerdoti, Aronne e Cur, che sorreggono le braccia dell’uomo di Dio». Insomma, «ognuno è indispensabile, ma è nella comunione, espressione orante dell’alleanza tra fratelli e con Dio, che la preghiera è efficace, anche perché esprime l’amore, la solidarietà, l’unità, nell’identico servizio per tutto il popolo di Dio». Il suggerimento, dunque, è di non pensare allo «sdoppiamento tra preghiera e contemplazione da una parte e combattimento e azione dall’altra».
Il passo del Vangelo di Matteo (17, 14-21) «parla di combattimento con satana» ha proseguito Padre Bovati, indicando la figura del «ragazzo che è in preda a pulsioni che non sa controllare ed è il simbolo della persona sofferente e indifesa, in grave pericolo perché privo di quelle risorse che permetterebbero a lui di aderire al bene». Accanto a lui «c’è il padre, testimone della sofferenza del figlio»: per salvarlo si rivolge ai discepoli «che il Signore aveva dotato della potenzialità di scacciare i demoni e di guarire da ogni forma di male». Eppure in questo episodio, ha fatto notare il predicatore, «i discepoli del Signore non ottengono nulla, la loro attività è senza efficacia, il loro intervento manca di quella forza spirituale per combattere lo spirito del male». Ed è questo «l’enigma del racconto: perché l’efficacia viene a mancare? Perché il potere, pure dato, è senza risultato? Gesù parla della mancanza di fede, di “generazione incredula e perversa”».
Padre Bovati ha spiegato che a mancare «non è solo la preghiera». La questione, infatti, è se i discepoli «hanno almeno un briciolo di fede». Del resto, ha concluso invitando alla lettura del salmo 121, «la preghiera non è semplice recitazione, non consiste nella formalità delle labbra: se il cuore non aderisce al mistero di Dio la preghiera è vana. Però una preghiera anche debole, sincera e umile, se è appello a quella forza divina che può essere solo nel Signore, è l’arma potente che ci è data per collaborare all’avvento del Regno».