Papa Francesco alla Curia Romana: «Siate innamorati, non abituati»

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Francesco, nel tradizionale scambio di auguri natalizi, indica tre verbi: ascoltare, discernere e camminare. E dice no a formalismi, ideologismi e rigidità

In tre verbi il lavoro di quanti operano nella Curia Romana. Ascoltare, discernere, camminare. In tre personaggi biblici (uno per ogni verbo) gli esempi da seguire: Maria, il Battista e i Magi. E tanti consigli applicativi dei tre verbi. Ad esempio non girare a vuoto nei propri labirinti, no al fissismo dell’ideologia, ascoltarsi senza pregiudizi e credendo di sapere già tutto, non essere come lupi rapaci nella comunicazione. Spogliarsi dei formalismi. Alla fine la distinzione non è tra conservatori e progressisti, ma abituati e innamorati. Così il Papa si è rivolto questa mattina ai suoi più stretti collaboratori nell’Aula delle Benedizioni, per il tradizionale scambio di auguri natalizi. “Nel nostro lavoro – ha sintetizzato -, coltiviamo l’ascolto del cuore, mettendoci così a servizio del Signore imparando ad accoglierci, ad ascoltarci tra di noi; esercitiamoci nel discernimento, per essere una Chiesa, che cerca di interpretare i segni della storia con la luce del Vangelo, cercando soluzioni che trasmettono l’amore del Padre; e restiamo sempre in cammino, con umiltà e stupore, per non cadere nella presunzione di sentirci arrivati e perché non si spenga in noi il desiderio di Dio”.

Un discorso quello del Pontefice, tutto teso a rimuovere le abitudini del si è sempre fatto così, per andare incontro alla novità dell’annuncio di salvezza del Vangelo. Anche se, ha notato con dolore il Papa proprio all’inizio del suo intervento, questo annuncio giunge oggi “in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame e da altre ferite che abitano la nostra storia”. Francesco ha comunque invitato a guardare avanti e a farlo “con lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza”.

L’ascolto innanzitutto. Non solo con le orecchie, ma con il cuore. “Si tratta – ha spiegato – di un ascolto interiore capace di intercettare i desideri e i bisogni dell’altro, di una relazione che ci invita a superare gli schemi e a vincere i pregiudizi in cui a volte incaselliamo la vita di chi ci sta accanto. Ascoltare è sempre l’inizio di un cammino. Il Signore chiede al suo popolo questo ascolto del cuore, una relazione con Lui, che è il Dio vivente”. In altri termini il Papa lo ha definito un ascolto in ginocchio. “E’ il modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al
contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci”.

Questa regola va seguita anche nella comunicazione. “A volte, anche nella comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Prima si ascolta, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e, soltanto dopo, possiamo dare una risposta”. “Non è un ping pong”, ha aggiunto a braccio il Pontefice. Maria ci deve insegnare questo ascolto del cuore. Perciò, ha sottolineato, “anche nel nostro lavoro di Curia, «abbiamo bisogno di implorare ogni
giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale”. “Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio. Ascoltiamoci di più, senza
pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare”.

Quanto al discernimento, come il Battista dobbiamo convertirci a un Gesù che non ci aspettiamo. Egli attendeva un Messia potente “e perciò anche il Precursore deve convertirsi alla novità del Regno, deve avere l’umiltà e il coraggio di fare discernimento”. Tradotto in relazione al lavoro di Curia questo che cosa significa? “Per tutti noi – ha risposto il Papa – è importante il discernimento, questa arte della vita spirituale che ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla
tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. Abbiamo bisogno di praticare il discernimento spirituale, di scrutare la volontà di Dio, di interrogare le mozioni interiori del nostro cuore, per poi valutare le decisioni da prendere e le scelte da compiere”. Citando il cardinale Carlo Maria Martini, il Papa ha aggiunto: “Il discernimento è ben altro dalla puntigliosità meticolosa di chi vive nell’appiattimento legalistico
o con la pretesa di perfezionismo. È uno slancio d’amore che pone la distinzione tra buono e
migliore, tra utile in sé e utile adesso, tra ciò che in generale può andar bene e ciò che invece ora
bisogna promuovere”.

Infine il camminare, sull’esempio dei Magi. “Anche nel servizio qui in Curia – ha ricordato Francesco – è importante restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di “labirintare” dentro i nostri recinti e nelle nostre paure. Le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero. E restiamo vigilanti contro il fissismo dell’ideologia, che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare. Invece siamo chiamati a metterci in viaggio e camminare, come fecero i Magi, seguendo la Luce che vuole sempre condurci oltre e che talvolta ci fa cercare sentieri inesplorati e ci fa percorrere strade nuove”. Dai labirinti, ha detto il Papa, si esce solo sopra. “Perciò, quando il servizio che svolgiamo rischia di appiattirsi, di “labirintare” nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del “tirare a campare”, ricordiamoci di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire”.

Camminare è questione di amore. Perciò ripensando alla polemiche tra conservatori e progressisti il Papa ha avvertito: “La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, mentre la differenza centrale è tra “innamorati” e “abituati”. Questa è la differenza. Solo chi ama cammina”. Infine l’invito a non perdere mai il senso dell’umorismo e un grazie a tutti “per il vostro lavoro e per la vostra dedizione”.