Papa Francesco promulga il testo revisionato del Libro VI del Codice di Diritto Canonico: PASCETE IL GREGGE DI DIO

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«Pascete il gregge di Dio, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio» (cfr. 1 Pt 5, 2). Le parole ispirate dell’Apostolo Pietro riecheggiano in quelle del rito della ordinazione episcopale: «il Signore nostro Gesù Cristo, inviato dal Padre a redimere gli uomini, mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo, annunziassero il Vangelo a tutti i popoli e riunendoli sotto l’unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza. (…) È Cristo che nella sapienza e prudenza del Vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna» (cfr. Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, seconda edizione «tipica» per la lingua italiana, 1992, n. 42). E il Pastore è chiamato a esercitare il suo compito «col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà» (Lumen gentium, n. 27), giacché la carità e la misericordia richiedono che un Padre si impegni anche a raddrizzare ciò che talvolta diventa storto.

Procedendo nel suo pellegrinaggio terreno, sin dai tempi apostolici, la Chiesa si è data regole di condotta che nel corso dei secoli hanno composto un coeso corpo di norme vincolanti, che rendono unito il Popolo di Dio e della cui osservanza sono responsabili i Vescovi. Tali norme riflettono la fede che noi tutti professiamo, dalla quale traggono la loro forza obbligante, e su di essa fondate, manifestano la materna misericordia della Chiesa, che sa di aver sempre come fine la salvezza delle anime. Dovendo regolare la vita della comunità nello scorrere del tempo, è necessario che tali norme siano strettamente correlate con i cambiamenti sociali e le nuove esigenze del Popolo di Dio, il che rende talora necessario modificarle e adattarle alle mutate circostanze.

Tra i rapidi mutamenti sociali che sperimentiamo, consapevoli che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca» (Udienza alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2019), per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo, appariva evidente la necessità di sottoporre a revisione anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di Diritto Canonico, e che occorreva modificarla in modo da permettere ai Pastori di utilizzarla come più agile strumento salvifico e correttivo, da impiegare tempestivamente e con carità pastorale ad evitare più gravi mali e lenire le ferite provocate dall’umana debolezza.

A tal fine, Benedetto XVI, mio venerato Predecessore, nel 2007, diede mandato al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi di avviare lo studio per una revisione della normativa penale contenuta nel Codice del 1983. In forza di tale incarico il Dicastero si è attentamente impegnato nell’esaminare in concreto le nuove esigenze, nell’individuare i limiti e le carenze della vigente legislazione e nell’indicare soluzioni possibili, chiare e semplici. Lo studio si è realizzato in spirito di collegialità e cooperazione, anche con l’ausilio di esperti e di Pastori e correlando le possibili soluzioni alle esigenze e all’indole delle diverse chiese locali.

È stata dunque redatta una prima bozza del nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico, inviata a tutte le Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana, ai Superiori Maggiori di Istituti Religiosi, alle Facoltà di Diritto Canonico e ad altre Istituzioni ecclesiastiche, per raccoglierne le osservazioni. Nel contempo sono stati interpellati anche numerosi canonisti ed esperti in diritto penale di tutto il mondo. I responsi di questa prima consultazione, debitamente ordinati, sono stati poi trasmessi ad un gruppo speciale di esperti, che ha rivisto la bozza alla luce dei suggerimenti ricevuti, per poi sottoporla nuovamente al vaglio dei consultori. Infine, dopo ulteriori revisioni e confronti, la bozza finale è stata esaminata nella Sessione Plenaria dei Membri del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Da ultimo, eseguite le correzioni inserite dalla Plenaria, il testo è stato trasmesso al Romano Pontefice nel mese di febbraio del 2020.

L’osservanza della disciplina penale è doverosa per l’intero Popolo di Dio, ma la responsabilità della sua corretta applicazione – come sopra affermato – compete specificamente ai Pastori e ai Superiori delle singole comunità. È un compito che non può essere in alcun modo disgiunto dal munus pastorale ad essi affidato, e che va portato a compimento come concreta ed irrinunciabile esigenza di carità non solo nei confronti della Chiesa, della comunità cristiana e delle eventuali vittime, ma anche nei confronti di chi ha commesso un delitto, che ha bisogno all’un tempo della misericordia che della correzione da parte della Chiesa.

In passato, ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso – ove le circostanze e la giustizia lo richiedano – alla disciplina sanzionatoria. Tale modo di pensare – l’esperienza lo insegna – rischia di portare a vivere con comportamenti contrari alla disciplina dei costumi, al cui rimedio non sono sufficienti le sole esortazioni o i suggerimenti. Questa situazione spesso porta con sé il pericolo che con il trascorrere del tempo, siffatti comportamenti si consolidino al punto tale da renderne più difficile la correzione e creando in molti casi scandalo e confusione tra i fedeli. È per questo che l’applicazione delle pene diventa necessaria da parte dei Pastori e dei Superiori. La negligenza di un Pastore nel ricorrere al sistema penale rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione, come ho espressamente ammonito in recenti documenti, tra i quali le Lettere Apostoliche date in forma di «Motu Proprio» (Come una Madre amorevole del 4 giugno 2016 e Vos estis lux mundi del 7 maggio 2019).

Invero la carità richiede che i Pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario nella comunità ecclesiale, e cioè il ripristino delle esigenze della giustizia, l’emendamento del reo e la riparazione degli scandali.

Come ho detto recentemente, la sanzione canonica ha anche una funzione riparatoria e salvifica e cerca soprattutto il bene del fedele, per cui «rappresenta un mezzo positivo per la realizzazione del Regno, per ricostruire la giustizia nella comunità dei fedeli, chiamati alla personale e comune santificazione» (Ai Partecipanti alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, 21 febbraio 2020).

Nel rispetto dunque della continuità con i lineamenti generali del sistema canonico, che segue una tradizione della Chiesa consolidata nel tempo, il nuovo testo introduce modifiche di vario genere al diritto vigente e sanziona alcune nuove figure delittuose, che rispondono alla sempre più diffusa esigenza nelle varie comunità di veder ristabilita la giustizia e l’ordine che il delitto ha infranto.

Risulta altresì migliorato il testo dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto concerne aspetti fondamentali del diritto penale, quali ad esempio il diritto di difesa, la prescrizione dell’azione penale, una più precisa determinazione delle pene, che risponde alle esigenze della legalità penale ed offre agli Ordinari e ai Giudici criteri oggettivi nella individuazione della sanzione più appropriata da applicare nel caso concreto.

È stato pure seguito nella revisione il principio di ridurre i casi nei quali l’imposizione di una sanzione è lasciata alla discrezione dell’autorità, così da favorire nell’applicazione delle pene, servatis de iure servandis, l’unità ecclesiale, specie per delitti che maggiore danno e scandalo provocano nella comunità.

Tutto ciò premesso, con la presente Costituzione Apostolica, promulgo il testo revisionato del Libro VI del Codice di Diritto Canonico così come è stato ordinato e rivisto, nella speranza che esso risulti strumento per il bene delle anime, e che le sue prescrizioni siano applicate dai Pastori, quando necessario, con giustizia e misericordia, nella consapevolezza che appartiene al loro ministero, come dovere di giustizia – eminente virtù cardinale – comminare pene quando lo esiga il bene dei fedeli.

Infine, affinché tutti possano agevolmente comprendere a fondo le disposizioni di cui si tratta, stabilisco che questa revisione del Libro VI del Codice di Diritto Canonico venga promulgata mediante la pubblicazione su L’Osservatore Romano, entri in vigore a partire dal giorno 8 dicembre 2021 e sia successivamente inserito nel Commentario ufficiale Acta Apostolicae Sedis.

Stabilisco altresì che con la entrata in vigore del nuovo Libro VI sia abrogato il vigente Libro VI del Codice di Diritto Canonico, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di particolare menzione.

Dato a Roma, presso San Pietro, Solennità di Pentecoste, 23 maggio 2021, nono anno del mio Pontificato.

FRANCESCO

De sanctionibus poenalibus in Ecclesia:  Il nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico

LIBRO VI
LE SANZIONI PENALI NELLA CHIESA

PARTE I
DELITTI E PENE IN GENERE

TITOLO I
LA PUNIZIONE DEI DELITTI IN GENERALE

Can. 1311 – § 1. La Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti.

§ 2. Chi presiede nella Chiesa, deve custodire e promuovere il bene della stessa comunità e dei singoli fedeli, con la carità pastorale, con l’esempio della vita, con il consiglio e l’esortazione e, se necessario, anche con l’inflizione o la dichiarazione delle pene, secondo i precetti della legge, che sempre devono essere applicati con equità canonica, e tenendo presente la reintegrazione della giustizia, la correzione del reo e la riparazione dello scandalo.

Can. 1312 – § 1. Le sanzioni penali nella Chiesa sono:

1º le pene medicinali o censure, elencate nei cann. 1331-1333;

2º le pene espiatorie di cui nel can. 1336.

§ 2. La legge può stabilire altre pene espiatorie, che privino il fedele di qualche bene spirituale o temporale e siano congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa.

§ 3. Sono inoltre impiegati rimedi penali e penitenze, di cui nei cann. 1339 e 1340, quelli soprattutto per prevenire i delitti, queste piuttosto per sostituire la pena o in aggiunta ad essa.

TITOLO II

LEGGE PENALE E PRECETTO PENALE

Can. 1313 – § 1. Se dopo che il delitto è stato commesso la legge subisce mutamenti, al reo si deve applicare la legge più favorevole.

§ 2. Che se una legge posteriore elimina la legge, o almeno la pena, questa cessa immediatamente.

Can. 1314 – La pena ordinariamente è ferendae sententiae, di modo che non costringe il reo se non dopo essere stata inflitta; è poi latae sententiae, sempre che la legge o il precetto espressamente lo stabilisca, di modo che in essa si incorra per il fatto stesso d’aver commesso il delitto.

Can. 1315 – § 1. Chi ha potestà di emanare leggi penali può anche munire di una congrua pena la legge divina.

§ 2. Il legislatore inferiore, atteso il can. 1317, può inoltre:

1º munire di una congrua pena la legge emanata dall’autorità superiore, osservati i limiti della competenza in ragione del territorio o delle persone;

2º aggiungere altre pene a quelle stabilite dalla legge universale per qualche delitto;

3º determinare o rendere obbligatoria una pena che la legge universale stabilisce come indeterminata o come facoltativa.

§ 3. La legge può essa stessa determinare la pena, oppure lasciarne la determinazione alla prudente valutazione del giudice.

Can. 1316 – I Vescovi diocesani facciano in modo che nella stessa nazione o regione, si emanino leggi penali con uniformità, nei limiti del possibile.

Can. 1317 – Le pene siano costituite nella misura in cui si rendono veramente necessarie a provvedere più convenientemente alla disciplina ecclesiastica. La dimissione dallo stato clericale non può essere stabilita dal legislatore inferiore.

Can. 1318 – Non si stabiliscano pene latae sententiae se non eventualmente contro qualche singolo delitto doloso, che o risulti arrecare gravissimo scandalo o non possa essere efficacemente punito con pene ferendae sententiae; non si costituiscano poi censure, soprattutto la scomunica, se non con la massima moderazione e soltanto contro i delitti di speciale gravità.

Can. 1319 – § 1. Nella misura in cui qualcuno può imporre precetti in foro esterno in forza della potestà di governo secondo le disposizioni dei cann. 48-58, il medesimo può anche comminare con un precetto pene determinate, ad eccezione delle pene espiatorie perpetue.

§ 2. Se, dopo aver diligentemente soppesato la cosa, sia necessario imporre un precetto penale, si osservi quanto è stabilito nei cann. 1317-1318.

Can. 1320 – In tutto ciò in cui sono soggetti all’Ordinario del luogo i religiosi possono essere dal medesimo costretti con pene.

TITOLO III

IL SOGGETTO PASSIVO DELLE SANZIONI PENALI

Can. 1321 – § 1. Chiunque è ritenuto innocente finché non sia provato il contrario.

§ 2. Nessuno è punito salvo che la violazione esterna della legge o del precetto da lui commessa non sia gravemente imputabile per dolo o per colpa.

§ 3. È tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto, chi deliberatamente violò la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.

§ 4. Posta la violazione esterna l’imputabilità si presume, salvo che non appaia altrimenti.

Can. 1322 – Coloro che non hanno abitualmente l’uso della ragione, anche se hanno violato la legge o il precetto mentre apparivano sani di mente, sono ritenuti incapaci di delitto.

Can. 1323 – Non è passibile di alcuna pena chi, quando violò la legge o il precetto:

1º non aveva ancora compiuto i 16 anni di età;

2º senza sua colpa ignorava di violare una legge o un precetto; all’ignoranza sono equiparati l’inavvertenza e l’errore;

3º agì per violenza fisica o per un caso fortuito che non poté prevedere o previstolo non vi poté rimediare;

4º agì costretto da timore grave, anche se solo relativamente tale, o per necessità o per grave incomodo, a meno che tuttavia l’atto non fosse intrinsecamente cattivo o tornasse a danno delle anime;

5º agì per legittima difesa contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, con la debita moderazione;

6º era privo dell’uso di ragione, ferme restando le disposizioni dei cann. 1324, § 1, n. 2 e 1326, § 1, n. 4;

7º senza sua colpa credette esserci alcuna delle circostanze di cui ai nn. 4 o 5.

Can. 1324 – § 1. L’autore della violazione non è esentato dalla pena stabilita dalla legge o dal precetto, ma la pena deve essere mitigata o sostituita con una penitenza, se il delitto fu commesso:

1º da una persona che aveva l’uso di ragione soltanto in maniera imperfetta;

2º da una persona che mancava dell’uso di ragione a causa di ubriachezza o di altra simile perturbazione della mente, di cui fosse colpevole, fermo restando il disposto del can. 1326, § 1, n. 4;

3º per grave impeto passionale, che tuttavia non abbia preceduto ed impedito ogni deliberazione della mente e consenso della volontà e purché la passione stessa non sia stata volontariamente eccitata o favorita;

4º da un minore che avesse compiuto i 16 anni di età;

5º da una persona costretta da timore grave, anche se soltanto relativamente tale, o che agì per necessità o per grave incomodo, se il delitto commesso sia intrinsecamente cattivo o torni a danno delle anime;

6º da chi agì per legittima difesa contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, ma senza la debita moderazione;

7º contro qualcuno che l’abbia gravemente e ingiustamente provocato;

8º da chi per un errore, di cui sia colpevole, credette esservi alcuna delle circostanze di cui al can. 1323, nn. 4 o 5;

9º da chi senza colpa ignorava che alla legge o al precetto fosse annessa una pena;

10º da chi agì senza piena imputabilità, purché questa rimanga ancora grave.

§ 2. Il giudice può agire allo stesso modo quando vi sia qualche altra circostanza attenuante la gravità del delitto.

§ 3. Nelle circostanze di cui al § 1, il reo non incorre nella pena latae sententiae, tuttavia possono essere inflitte al medesimo pene più miti oppure gli si possono applicare delle penitenze al fine del ravvedimento o della riparazione dello scandalo.

Can. 1325 – L’ignoranza crassa o supina o affettata non può mai essere presa in considerazione nell’applicare le disposizioni dei cann. 1323 e 1324.

Can. 1326 – § 1. Il giudice deve punire più gravemente di quanto la legge o il precetto stabiliscono:

1º chi dopo la condanna o la dichiarazione della pena persiste ancora nel delinquere, a tal punto da lasciar prudentemente presumere dalle circostanze la sua pertinacia nella cattiva volontà;

2º chi è costituito in dignità o chi ha abusato dell’autorità o dell’ufficio per commettere il delitto;

3º chi essendo stabilita una pena per il delitto colposo, previde l’evento e ciononostante omise le precauzioni per evitarlo, come qualsiasi persona diligente avrebbe fatto;

4º chi abbia commesso il delitto in stato di ubriachezza o in altra perturbazione della mente, ricercate ad arte per mettere in atto il delitto o scusarsene, o a causa di passione volontariamente eccitata o favorita.

§ 2. Nei casi di cui al § 1, se la pena stabilita sia latae sententiae, vi si può aggiungere un’altra pena o una penitenza.

§ 3. Nei medesimi casi, se la pena è stabilita come facoltativa, diventa obbligatoria.

Can. 1327 – La legge particolare può stabilire altre circostanze esimenti, attenuanti o aggravanti, oltre ai casi di cui nei cann. 1323-1326, sia con una norma generale, sia per i singoli delitti. Parimenti si possono stabilire nel precetto circostanze che esimano dalla pena costituita con il precetto o l’attenuino o l’aggravino.

Can. 1328 – § 1. Chi fece od omise alcunché per il compimento di un delitto, che tuttavia, nonostante la sua volontà, effettivamente non commise, non è tenuto alla pena stabilita per il delitto effettivamente compiuto, a meno che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.

§ 2. Che se quegli atti od omissioni per loro natura conducono all’esecuzione del delitto, l’autore può essere sottoposto ad una penitenza o ad un rimedio penale, a meno che non abbia spontaneamente desistito dall’esecuzione già intrapresa del delitto. Se poi ne sia derivato scandalo o altro grave danno o pericolo, l’autore, anche se abbia spontaneamente desistito, può essere punito con una giusta pena, tuttavia più lieve di quella stabilita per il delitto effettivamente compiuto.

Can. 1329 – § 1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendae sententiae contro l’autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari o minore gravità.

§ 2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.

Can. 1330 – Il delitto che consiste in una dichiarazione o in altra manifestazione di volontà, di dottrina o di scienza, non deve considerarsi effettivamente compiuto, se nessuno raccolga quella dichiarazione o manifestazione.

TITOLO IV

LE PENE E LE ALTRE PUNIZIONI

CAPITOLO I

LE CENSURE

Can. 1331 – § 1. Allo scomunicato è proibito:

1º di celebrare il Sacrificio dell’Eucaristia e gli altri sacramenti;

2º di ricevere i sacramenti;

3º di amministrare i sacramentali e di celebrare le altre cerimonie di culto liturgico;

4º di avere alcuna parte attiva nelle celebrazioni sopra enumerate;

5º di esercitare uffici o incarichi o ministeri o funzioni ecclesiastici;

6º di porre atti di governo.

§ 2. Se la scomunica ferendae sententiae fu inflitta o quella latae sententiae fu dichiarata, il reo:

1º se vuole agire contro il disposto del § 1, nn. 1-4, deve essere allontanato o si deve interrompere l’azione liturgica, se non si opponga una causa grave;

2º pone invalidamente gli atti di governo, che a norma del § 1, n. 6, sono illeciti;

3º incorre nella proibizione di far uso dei privilegi a lui concessi in precedenza;

4º non acquisisce le retribuzioni possedute a titolo puramente ecclesiastico;

5º è inabile a conseguire uffici, incarichi, ministeri, funzioni, diritti, privilegi e titoli onorifici.

Can. 1332 – § 1. Chi è interdetto è tenuto dalle proibizioni di cui nel can. 1331, § 1, nn. 1-4.

§ 2. Tuttavia, la legge o il precetto può definire l’interdetto in tale modo che siano proibite al reo solo alcune azioni singolari, di cui nel can. 1331, § 1, nn.1-4, o qualche altro diritto singolare.

§ 3. Si deve osservare il disposto del can. 1331, § 2, n. 1, anche in caso di interdetto.

Can. 1333 – § 1. La sospensione proibisce:

1º tutti od alcuni atti della potestà di ordine;

2º tutti od alcuni atti della potestà di governo;

3º l’esercizio di tutti od alcuni diritti o funzioni inerenti l’ufficio.

§ 2. Nella legge o nel precetto si può stabilire che dopo la sentenza o il decreto, che infliggono o dichiarano la pena, chi è sospeso non possa porre validamente atti di governo.

§ 3. La proibizione non tocca mai:

1º gli uffici o la potestà di governo che non ricadano sotto la potestà del Superiore che ha costituito la pena;

2º il diritto di abitare se il reo lo abbia in ragione dell’ufficio;

3º il diritto di amministrare i beni, che eventualmente appartengono all’ufficio di colui che è sospeso, se la pena sia latae sententiae.

§ 4. La sospensione che proibisce di percepire i frutti, lo stipendio, le pensioni o altro, comporta l’obbligo della restituzione di quanto fu illegittimamente percepito, anche se in buona fede.

Can. 1334 – § 1. L’àmbito della sospensione, entro i limiti stabiliti nel canone precedente, è definito o dalla legge stessa o dal precetto, oppure dalla sentenza o dal decreto con cui è inflitta la pena.

§ 2. La legge, ma non il precetto, può costituire una sospensione latae sententiae, senza apporvi alcuna determinazione o limitazione; tale pena poi ha tutti gli effetti recensiti nel can. 1333, § 1.

Can. 1335 – § 1. L’autorità competente, se infligge o dichiara la censura nel processo giudiziale o per decreto extragiudiziale, può anche imporre le pene espiatorie che ritenga necessarie per restituire la giustizia o riparare lo scandalo.

§ 2. Se la censura proibisce la celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali o di porre atti di potestà di governo, la proibizione è sospesa ogniqualvolta ciò sia necessario per provvedere a fedeli che si trovano in pericolo di morte; che se la censura latae sententiae non sia stata dichiarata, la proibizione è inoltre sospesa tutte le volte che un fedele chieda un sacramento, un sacramentale o un atto di potestà di governo; tale richiesta poi è lecita per una giusta causa qualsiasi.

CAPITOLO II

LE PENE ESPIATORIE

Can. 1336 – § 1. Le pene espiatorie, che possono essere applicate a un delinquente in perpetuo oppure per un tempo prestabilito o indeterminato, oltre alle altre che la legge può eventualmente aver stabilito, sono quelle elencate nei §§ 2-5.

§ 2: Ingiunzione:

1° di dimorare in un determinato luogo o territorio;

2° di pagare una ammenda o una somma di denaro per le finalità della Chiesa, secondo i regolamenti definiti dalla Conferenza Episcopale.

§ 3: Proibizione:

1° di dimorare in un determinato luogo o territorio;

2° di esercitare, dappertutto o in un determinato luogo o territorio o al di fuori di essi, tutti o alcuni uffici, incarichi, ministeri o funzioni o solo alcuni compiti inerenti agli uffici o agli incarichi;

3° di porre tutti o alcuni atti di potestà di ordine;

4° di porre tutti o alcuni atti di potestà di governo;

5° di esercitare qualche diritto o privilegio o di usare insegne o titoli;

6° di godere di voce attiva o passiva nelle elezioni canoniche e di partecipare con diritto di voto nei consigli e nei collegi ecclesiastici;

7° di portare l’abito ecclesiastico o religioso.

§ 4 Privazione:

1º di tutti o alcuni uffici, incarichi, ministeri o funzioni o solamente di alcuni compiti inerenti agli uffici o incarichi;

2º della facoltà di ricevere le confessioni o della facoltà di predicare;

3º della potestà delegata di governo;

4º di alcuni diritti o privilegi o insegne o titoli;

5º di tutta la remunerazione ecclesiastica o di parte di essa, secondo i regolamenti stabiliti dalla Conferenza Episcopale, salvo il disposto del can. 1350, § 1.

§ 5. La dimissione dallo stato clericale.

Can. 1337 – § 1. La proibizione di dimorare in un determinato luogo o territorio può essere applicata sia ai chierici sia ai religiosi; l’ingiunzione di dimorarvi può essere applicata ai chierici secolari e, nei limiti delle costituzioni, ai religiosi.

§ 2. Per infliggere l’ingiunzione di dimorare in un determinato luogo o territorio, è necessario che vi sia il consenso dell’Ordinario di quel luogo, salvo non si tratti di una casa destinata alla penitenza ed alla correzione dei chierici anche extradiocesani.

Can. 1338 – § 1. Le pene espiatorie, recensite nel can. 1336, non si applicano mai a potestà, uffici, incarichi, diritti, privilegi, facoltà, grazie, titoli, insegne che non siano sotto la potestà del superiore che costituisce la pena.

§ 2. Non si può privare alcuno della potestà di ordine, ma soltanto proibire di esercitarla o di esercitarne alcuni atti; parimenti non si può privare dei gradi accademici.

§ 3. Per le proibizioni indicate nel can. 1336, § 3, si deve osservare la norma data per le censure al can. 1335, § 2.

§ 4. Soltanto le pene espiatorie recensite come proibizioni nel can. 1336, § 3, possono essere pene latae sententiae o altre che eventualmente siano stabilite con legge o precetto.

§ 5. Le proibizioni di cui al can. 1336, § 3, non sono mai sotto pena di nullità.

CAPITOLO III

RIMEDI PENALI E PENITENZE

Can. 1339 – § 1. L’Ordinario può ammonire, personalmente o tramite un altro, colui che si trovi nell’occasione prossima di delinquere, o sul quale dall’indagine fatta cada il sospetto grave d’aver commesso il delitto.

§ 2. L’Ordinario può riprendere, in modo appropriato alle condizioni della persona e del fatto, chi con il proprio comportamento faccia sorgere scandalo o turbi gravemente l’ordine.

§ 3. Dell’ammonizione e della riprensione deve sempre constare almeno da un qualche documento, che si conservi nell’archivio segreto della curia.

§ 4. Se, una o più volte, siano state fatte inutilmente a qualcuno ammonizioni o correzioni, o se non si possa attendere da esse alcun effetto, l’Ordinario dia un precetto penale, nel quale si disponga accuratamente cosa si debba fare o evitare.

§ 5. Se lo richieda la gravità del caso, e soprattutto nel caso in cui qualcuno si trovi in pericolo di ricadere nel delitto, l’Ordinario, anche al di là delle pene inflitte a norma del diritto o dichiarate mediante sentenza o decreto, lo sottoponga ad una misura di vigilanza determinata mediante un decreto singolare.

Can. 1340 – § 1. La penitenza che può essere imposta in foro esterno, consiste in una qualche opera di religione, di pietà o di carità da farsi.

§ 2. Per una trasgressione occulta non s’imponga mai una penitenza pubblica.

§ 3. L’Ordinario può a sua prudente discrezione aggiungere penitenze al rimedio penale dell’ammonizione o della riprensione.

TITOLO V

L’APPLICAZIONE DELLE PENE

Can. 1341 – L’Ordinario deve avviare la procedura giudiziaria o amministrativa per infliggere o dichiarare le pene quando abbia constatato che né per vie dettate dalla sollecitudine pastorale, soprattutto con la correzione fraterna, né con l’ammonizione né con la riprensione, è possibile ottenere sufficientemente il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo, la riparazione dello scandalo.

Can. 1342 – § 1. Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che si celebri un processo giudiziario, la pena può essere inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale, osservato il can. 1720, specialmente per quanto riguarda il diritto di difesa e la certezza morale nell’animo di chi emette il decreto a norma del can. 1608. Rimedi penali e penitenze possono essere applicati per decreto in qualunque caso.

§ 2. Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto.

§ 3. Quanto vien detto nella legge o nel precetto a riguardo del giudice per ciò che concerne la pena da infliggere o dichiarare in giudizio, si deve applicare al Superiore, che infligga o dichiari la pena per decreto extragiudiziale, a meno che non consti altrimenti né si tratti di disposizioni attinenti soltanto la procedura.

Can. 1343 – Se la legge o il precetto concedono al giudice la facoltà di applicare o di non applicare la pena, questi, salvo il disposto del can. 1326 § 3, secondo coscienza e a sua prudente discrezione, definisca la cosa, secondo quanto richiede il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo e la riparazione dello scandalo; il giudice tuttavia in questi casi può anche, se del caso, mitigare la pena o imporre in luogo di essa una penitenza.

Can. 1344 – Ancorché la legge usi termini precettivi, il giudice, secondo coscienza e a sua prudente discrezione, può:

1° differire l’inflizione della pena a tempo più opportuno, se da una punizione troppo affrettata si prevede che insorgeranno mali maggiori, salvo che non urga la necessità di riparare lo scandalo;

2° astenersi dall’infliggere la pena, o infliggere una pena più mite o fare uso di una penitenza, se il reo si sia emendato ed altresì sia stato riparato lo scandalo e il danno eventualmente procurato, oppure se lo stesso sia stato sufficientemente punito dall’autorità civile o si preveda che sarà punito;

3° sospendere l’obbligo di osservare una pena espiatoria al reo che abbia commesso delitto per la prima volta dopo aver vissuto onorevolmente e qualora non urga la necessità di riparare lo scandalo, a condizione tuttavia che, se il reo entro il tempo determinato dal giudice stesso commetta nuovamente un delitto, sconti la pena dovuta per entrambi i delitti, salvo che frattanto non sia decorso il tempo per la prescrizione dell’azione penale relativa al primo delitto.

Can. 1345 – Ogniqualvolta il delinquente o aveva l’uso di ragione in maniera soltanto imperfetta o commise il delitto per necessità o per timore grave o per impeto passionale o, salvo il disposto del can. 1326, § 1, n. 4, in stato di ubriachezza o di altra simile perturbazione della mente, il giudice può anche astenersi dall’infliggere qualunque punizione, se ritiene si possa meglio provvedere in altro modo al suo emendamento; tuttavia si deve punire il reo se non si possa altrimenti provvedere a ristabilire la giustizia e a riparare lo scandalo eventualmente procurato.

Can. 1346 – § 1. Ordinariamente tante sono le pene quanti i delitti.

§ 2. Ma ogniqualvolta il reo abbia commesso più delitti, se sembri eccessivo il cumulo delle pene ferendae sententiae, è lasciato al prudente arbitrio del giudice di contenere le pene entro equi limiti, e di sottoporlo a vigilanza.

Can. 1347 – § 1. Non si può infliggere validamente una censura, se il reo non fu prima ammonito almeno una volta di recedere dalla contumacia, assegnandogli un congruo spazio di tempo per ravvedersi.

§ 2. Si deve ritenere che abbia receduto dalla contumacia il reo che si sia veramente pentito del delitto e che abbia inoltre dato congrua riparazione allo scandalo e al danno o almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale riparazione.

Can. 1348 – Quando il reo viene assolto dall’accusa o non gli viene inflitta alcuna pena, l’Ordinario può provvedere al suo bene e al bene pubblico con opportune ammonizioni o per altre vie dettate dalla sollecitudine pastorale, o anche, se del caso, con rimedi penali.

Can. 1349 – Se la pena è indeterminata e la legge non disponga altrimenti, il giudice nel determinare le pene scelga quelle che siano proporzionate allo scandalo arrecato e alla gravità del danno; tuttavia non infligga pene troppo gravi, a meno che non lo richieda assolutamente la gravità del caso; non può tuttavia infliggere pene perpetue.

Can. 1350 – § 1. Nell’infliggere pene ad un chierico si deve sempre provvedere che non gli manchi il necessario per un onesto sostentamento, a meno che non si tratti della dimissione dallo stato clericale.

§ 2. L’Ordinario abbia cura di provvedere nel miglior modo possibile a chi è stato dimesso dallo stato clericale e che a causa della pena sia veramente bisognoso, eccetto che con il conferimento di uffici, ministeri e incarichi.

Can. 1351 – La pena vincola il reo ovunque, anche venuto meno il diritto di colui che l’ha costituita, l’ha inflitta o dichiarata, a meno che non si disponga espressamente altro.

Can. 1352 – § 1. Se la pena proibisce di ricevere i sacramenti o i sacramentali, la proibizione è sospesa finché il reo versa in pericolo di morte.

§ 2. L’obbligo di osservare una pena latae sententiae che non sia stata dichiarata né sia notoria nel luogo ove vive il delinquente, è sospeso in tutto o in parte nella misura in cui il reo non la possa osservare senza pericolo di grave scandalo o d’infamia.

Can. 1353 – L’appello o il ricorso contro le sentenze giudiziali o i decreti che infliggono o dichiarano una pena qualsiasi hanno effetto sospensivo.

TITOLO VI

LA REMISSIONE DELLE PENE E LA PRESCRIZIONE DELLE AZIONI

Can. 1354 – § 1. Oltre a quelli che sono enumerati nei cann. 1355-1356, tutti coloro che possono dispensare da una legge munita di una pena, o liberare da un precetto che commina una pena, possono anche rimettere quella pena.

§ 2. La legge o il precetto che costituiscono una pena possono inoltre dare anche ad altri potestà di rimettere la pena.

§ 3. Se la Sede Apostolica ha riservato a sé o ad altri la remissione della pena, la riserva deve essere interpretata in senso stretto.

Can. 1355 – § 1. Possono rimettere la pena stabilita dalla legge, che sia una pena ferendae sententiae inflitta o latae sententiae dichiarata e purché non sia riservata alla Sede Apostolica:

1º l’Ordinario che ha promosso il giudizio per infliggere o dichiarare la pena, oppure l’ha inflitta o dichiarata per decreto personalmente o tramite altri;

2º l’Ordinario del luogo in cui si trova il delinquente, dopo aver però consultato l’Ordinario di cui nel n. 1, a meno che per circostanze straordinarie ciò sia impossibile.

§ 2. Possono rimettere la pena stabilita dalla legge, che sia una pena latae sententiae non ancora dichiarata e purché non sia riservata alla Sede Apostolica:

1º l’Ordinario ai propri sudditi;

2º l’Ordinario del luogo anche a coloro che si trovano nel suo territorio o vi hanno commesso il delitto;

3º qualunque Vescovo tuttavia nell’atto della confessione sacramentale.

Can. 1356 – § 1. Possono rimettere la pena ferendae sententiae o latae sententiae stabilita da un precetto che non sia stato dato dalla Sede Apostolica:

1º l’autore del precetto;

2º l’Ordinario che ha promosso il giudizio per infliggere o dichiarare la pena o che l’ha inflitta o dichiarata per decreto personalmente o tramite altri.

3º l’Ordinario del luogo in cui si trova il delinquente.

§ 2. Prima che avvenga la remissione, deve essere consultato l’autore del precetto, a meno che per circostanze straordinarie ciò non sia possibile, o chi ha inflitto o dichiarato la pena.

Can. 1357 – § 1. Ferme restando le disposizioni dei cann. 508 e 976, il confessore può rimettere in foro interno sacramentale la censura latae sententiae di scomunica o d’interdetto, non dichiarata, se al penitente sia gravoso rimanere in stato di peccato grave per il tempo necessario a che il Superiore competente provveda.

§ 2. Il confessore nel concedere la remissione imponga al penitente l’onere di ricorrere entro un mese sotto pena di ricadere nella censura al Superiore competente o a un sacerdote provvisto della facoltà, e di attenersi alle sue decisioni; intanto imponga una congrua penitenza e la riparazione, nella misura in cui ci sia urgenza, dello scandalo e del danno. Il ricorso poi può essere fatto anche tramite il confessore, senza fare menzione del nominativo del penitente.

§ 3. Allo stesso onere di ricorrere sono tenuti, venuto meno il pericolo, coloro che a norma del can. 976 furono assolti da una censura inflitta o dichiarata o riservata alla Sede Apostolica.

Can. 1358 – § 1. Non si può rimettere la censura se non al delinquente che abbia receduto dalla contumacia, a norma del can. 1347, § 2; a chi abbia receduto poi non si può negare la remissione, salvo il disposto del can. 1361, § 4.

§ 2. Chi rimette la censura può provvedere a norma del can. 1348 o anche imporre una penitenza.

Can. 1359 – Se qualcuno è vincolato da più di una pena, la remissione vale soltanto per le pene in essa espresse; la remissione generale poi toglie tutte le pene, ad eccezione di quelle che il delinquente nella domanda abbia taciuto in mala fede.

Can. 1360 – La remissione della pena estorta per mezzo della forza o di timore grave o per dolo è invalida per lo stesso diritto.

Can. 1361 – § 1. La remissione può anche essere data ad una persona assente, oppure sotto condizione.

§ 2. La remissione in foro esterno sia data per scritto, a meno che una grave causa suggerisca altrimenti.

§ 3. La domanda di remissione o la remissione stessa non sia divulgata, se non nella misura in cui ciò sia utile a tutelare la fama del reo o sia necessario per riparare lo scandalo.

§ 4. Non si deve dare la remissione finché, secondo il prudente giudizio dell’Ordinario, il reo non abbia riparato il danno eventualmente causato; costui può essere sollecitato a tale riparazione o alla restituzione, con una delle pene di cui al can. 1336, §§ 2-4, e ciò vale anche quando gli viene rimessa la censura a norma del can. 1358, § 1.

Can. 1362 – § 1. L’azione criminale si estingue per prescrizione in tre anni, a meno che non si tratti:

1° di delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della fede, che sono soggetti a norme speciali;

2° fermo restando il disposto del n. 1, dell’azione per i delitti di cui nei cann. 1376, 1377, 1378, 1393, § 1, 1394, 1395, 1397, 1398, § 2, che si prescrive in sette anni, o di quella per i delitti ci cui al can. 1398, § 1, che si prescrive in vent’anni;

3° di delitti non puniti dal diritto universale, se la legge particolare abbia stabilito un altro limite di tempo per la prescrizione.

§ 2. La prescrizione, salvo che la legge stabilisca altro, decorre dal giorno in cui fu commesso il delitto, oppure, se il delitto è permanente o abituale, dal giorno in cui è cessato.

§ 3. Citato il reo a norma del can. 1723 oppure informato nel modo previsto dal can. 1507, § 3, della presentazione, a norma del can. 1721, § 1, del libello di accusa, si sospende la prescrizione dell’azione criminale per tre anni; trascorso questo termine o interrotta la sospensione, a causa della cessazione del processo penale, nuovamente decorre il tempo, che si aggiunge a quello già decorso per la prescrizione. La stessa sospensione ugualmente sussiste se, osservato il can. 1720, n. 1, si procede alla pena da infliggere o dichiarare per decreto extragiudiziale.

Can. 1363 – § 1. Se nei limiti di tempo di cui nel can. 1362, da computarsi a partire dal giorno in cui la sentenza di condanna è passata in giudicato, al reo non sia stato notificato il decreto esecutivo del giudice di cui nel can. 1651, l’azione intesa a far eseguire la pena si estingue per prescrizione.

§ 2. Il che vale, osservate le disposizioni del diritto, se la pena è stata inflitta per decreto extragiudiziale.

PARTE II

I SINGOLI DELITTI E LE PENE COSTITUITE PER ESSI

TITOLO I

DELITTI CONTRO LA FEDE E L’UNITÀ DELLA CHIESA

Can. 1364 – § 1. L’apostata, l’eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae, fermo restando il disposto del can. 194, § 1, n. 2; inoltre può essere punito con le pene di cui nel can. 1336, § 2-4.

§ 2. Se lo richieda la prolungata contumacia o la gravità dello scandalo, possono essere aggiunte altre pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.

Can. 1365 – Chi, oltre al caso di cui nel can. 1364, § 1, insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio Ecumenico o respinge pertinacemente la dottrina di cui nel can. 750, § 2, o nel can. 752, ed ammonito dalla Sede Apostolica o dall’Ordinario non ritratta, sia punito con una censura e la privazione dell’ufficio; a queste sanzioni ne possono essere aggiunte altre di cui nel can. 1336 §§ 2-4.

Can. 1366 – Chi contro un atto del Romano Pontefice ricorre al Concilio Ecumenico o al collegio dei Vescovi, sia punito con una censura.

Can. 1367 – I genitori o coloro che ne fanno le veci, che fanno battezzare od educare i figli in una religione acattolica, siano puniti con una censura o con altra giusta pena.

Can. 1368 – Chi in uno spettacolo o in una pubblica adunanza o in uno scritto pubblicamente divulgato, o in altro modo servendosi degli strumenti di comunicazione sociale, proferisce bestemmia od offende gravemente i buoni costumi o pronuncia ingiurie o eccita all’odio o al disprezzo contro la religione o la Chiesa, sia punito con una giusta pena.

Can. 1369 – Chi profana una cosa sacra, mobile o immobile, sia punito con giusta pena.

TITOLO II

DELITTI CONTRO LE AUTORITÀ ECCLESIASTICHE E L’ESERCIZIO DEGLI INCARICHI

Can. 1370 – § 1. Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica, alla quale, se si tratta di un chierico, si può aggiungere a seconda della gravità del delitto, un’altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.

§ 2. Chi fa ciò contro un Vescovo incorre nell’interdetto latae sententiae, e, se chierico, anche nella sospensione latae sententiae.

§ 3. Chi usa violenza fisica contro un chierico o religioso o contro un altro fedele per disprezzo della fede, della Chiesa, della potestà ecclesiastica o del ministero, sia punito con una giusta pena.

Can. 1371 – § 1. Chi non obbedisce alla Sede Apostolica, all’Ordinario o al Superiore che legittimamente gli comanda o gli proibisce, e dopo l’ammonizione persiste nella sua disobbedienza, sia punito, a seconda della gravità del caso, con una censura o con la privazione dell’ufficio o con altre pene di cui nel can. 1336, §§ 2-4.

§ 2. Chi viola gli obblighi impostigli da una pena, sia punito con le pene di cui al can. 1336, §§ 2-4.

§ 3. Se alcuno, asserendo o promettendo qualcosa avanti all’autorità ecclesiastica, commette spergiuro, sia punito con una giusta pena.

§ 4. Chi viola l’obbligo di conservare il segreto pontificio sia punito con le pene di cui al can. 1336, §§ 2-4.

§ 5. Chi non avrà osservato il dovere di eseguire una sentenza esecutiva o un decreto penale esecutivo, sia punito con una giusta pena, non esclusa una censura.

§ 6. Chi omette la comunicazione della notizia di un delitto, alla quale sia obbligato per legge canonica, sia punito a norma del can. 1336, §§ 2-4, con l’aggiunta di altre pene a seconda della gravità del delitto.

Can. 1372 – Siano puniti a norma del can. 1336, §§ 2-4:

1º coloro che impediscono la libertà del ministero o l’esercizio della potestà ecclesiastica oppure l’uso legittimo delle cose sacre o di altri beni ecclesiastici, oppure terrorizzano chi ha esercitato una potestà o un ministero ecclesiastico;

2º coloro che impediscono la libertà dell’elezione o terrorizzano l’elettore o l’eletto.

Can. 1373 – Chi pubblicamente suscita rivalità e odi contro la Sede Apostolica o l’Ordinario per un atto di ufficio o di funzione ecclesiastica, oppure eccita alla disobbedienza nei loro confronti, sia punito con l’interdetto o altre giuste pene.

Can. 1374 – Chi dà il nome ad una associazione, che cospira contro la Chiesa, sia punito con una giusta pena; chi poi tale associazione promuove o dirige sia punito con l’interdetto.

Can. 1375 – § 1. Chiunque usurpa un ufficio ecclesiastico sia punito con giusta pena.

§ 2. È equiparato all’usurpazione il conservare illegittimamente l’incarico, in seguito a privazione o cessazione.

Can. 1376 – § 1. Sia punito con le pene di cui al can. 1336, §§ 2-4, fermo restando l’obbligo di riparare il danno:

1º chi sottrae beni ecclesiastici o impedisce che ne siano percepiti i frutti;

2º chi senza la prescritta consultazione, consenso o licenza, oppure senza un altro requisito imposto dal diritto per la validità o per la liceità, aliena beni ecclesiastici o esegue su di essi un atto di amministrazione.

§ 2. Sia punito con giusta pena, non esclusa la privazione dall’ufficio, fermo restando l’obbligo di riparare il danno:

1º chi per grave colpa propria commette il delitto di cui al § 1, n. 2;

2º chi è riconosciuto in altra maniera gravemente negligente nell’amministrazione dei beni ecclesiastici.

Can. 1377 – § 1. Chi dona o promette qualunque cosa per ottenere un’azione o un’omissione illegale da chi esercita un ufficio o un incarico nella Chiesa, sia punito con una giusta pena a norma del can. 1336, §§ 2-4; così chi accetta i doni e le promesse sia punito proporzionalmente alla gravità del delitto, non escluso con la privazione dell’ufficio, fermo restando l’obbligo di riparare il danno.

§ 2. Chi nell’esercizio di un ufficio o di un incarico richiede un’offerta al di là di quanto stabilito o somme aggiuntive, o qualcosa per il suo profitto, sia punito con un’ammenda pecuniaria adeguata o con altre pene, non esclusa la privazione dall’ufficio, fermo restando l’obbligo di riparare il danno.

Can. 1378 – § 1. Chi, oltre ai casi già previsti dal diritto, abusa della potestà ecclesiastica, dell’ufficio o dell’incarico sia punito a seconda della gravità dell’atto o dell’omissione, non escluso con la privazione dell’ufficio o dell’incarico, fermo restando l’obbligo di riparare il danno.

§ 2. Chi, per negligenza colpevole, pone od omette illegittimamente con danno altrui o scandalo un atto di potestà ecclesiastica, di ufficio o di incarico, sia punito con giusta pena, a norma del can. 1336, §§ 2-4, fermo restando l’obbligo di riparare il danno.

TITOLO III

DELITTI CONTRO I SACRAMENTI

Can. 1379 – § 1. Incorre nella pena latae sententiae dell’interdetto, o, se chierico, anche della sospensione:

1º chi non elevato all’ordine sacerdotale attenta l’azione liturgica del Sacrificio eucaristico;

2º chi, al di fuori del caso di cui nel can. 1384, non potendo dare validamente l’assoluzione sacramentale, tenta d’impartirla oppure ascolta la confessione sacramentale.

§ 2. Nei casi di cui nel § 1, a seconda della gravità del delitto, possono essere aggiunte altre pene, non esclusa la scomunica.

§ 3. Sia colui che ha attentato il conferimento del sacro ordine ad una donna, sia la donna che ha attentato la recezione del sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; inoltre il chierico può essere punito con la dimissione dallo stato clericale.

§ 4. Chi deliberatamente amministra un sacramento a colui al quale è proibito riceverlo, sia punito con la sospensione, alla quale possono essere aggiunte altre pene secondo il can. 1336 §§ 2-4.

§ 5. Chi, oltre ai casi di cui nei §§ 1-4 e nel can. 1384, simula di amministrare un sacramento, sia punito con giusta pena.

Can. 1380 – Chi per simonia celebra o riceve un sacramento, sia punito con l’interdetto o la sospensione o con le pene di cui nel can. 1336, §§ 2-4.

Can. 1381 – Il reo di vietata communicatio in sacris sia punito con una giusta pena.

Can. 1382 – § 1. Chi profana le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.

§ 2. Il reo di consacrazione con fine sacrilego di una sola materia o di entrambe nella celebrazione eucaristica, o al di fuori di essa, sia punito proporzionalmente alla gravità del delitto, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.

Can. 1383 – Chi trae illegittimamente profitto dall’elemosina della Messa, sia punito con una censura o altre pene secondo il can. 1336, §§ 2-4.

Can. 1384 – Il sacerdote che agisce contro il disposto del can. 977, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica.

Can. 1385 – Il sacerdote che, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione sacramentale, sollecita il penitente al peccato contro il sesto precetto del Decalogo, a seconda della gravità del delitto, sia punito con la sospensione, con divieti, privazioni e, nei casi più gravi, sia dimesso dallo stato clericale.

Can. 1386 – § 1. Il confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; chi poi lo fa solo indirettamente sia punito proporzionalmente alla gravità del delitto.

§ 2. L’interprete e le altre persone di cui nel can. 983, § 2, che violano il segreto, siano puniti con giusta pena, non esclusa la scomunica.

§ 3. Fermo restando il disposto dei §§ 1 e 2, chiunque con qualsiasi mezzo tecnico registra o divulga con malizia, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, le cose che vengono dette dal confessore o dal penitente nella confessione sacramentale, vera o simulata, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se è un chierico.

Can. 1387 – Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica.

Can. 1388 – § 1. Il Vescovo che contro il disposto del can. 1015, abbia ordinato un suddito di altri senza le legittime lettere dimissorie, incorre nel divieto di conferire l’ordine per un anno. Chi poi ricevette l’ordinazione è per il fatto stesso sospeso dall’ordine ricevuto.

§ 2. Chi accede ai sacri ordini legato da qualche censura o irregolarità, volontariamente taciuta, oltre a quanto stabilito dal can. 1044, § 2, n. 1, è per il fatto stesso sospeso dall’ordine ricevuto.

Can. 1389 – Chi, oltre i casi di cui ai cann. 1379‑1388, esercita illegittimamente una funzione sacerdotale o altro sacro ministero, sia punito con giusta pena, non esclusa una censura.

TITOLO IV

DELITTI CONTRO LA BUONA FAMA E DELITTO DI FALSO

Can. 1390 – § 1. Chi falsamente denuncia al Superiore ecclesiastico un confessore per il delitto di cui nel can. 1385, incorre nell’interdetto latae sententiae e, se sia chierico, anche nella sospensione.

§ 2. Chi presenta al Superiore ecclesiastico un’altra denuncia calunniosa per un delitto, o illegittimamente lede in altro modo l’altrui buona fama, sia punito con una giusta pena a norma del can. 1336, §§ 2-4, a cui inoltre si può aggiungere una censura.

§ 3. Il calunniatore deve anche essere costretto a dare una adeguata soddisfazione.

Can. 1391 – Sia punito con le pene previste dal can. 1336 §§ 2-4, a seconda della gravità del delitto:

1º chi redige un documento ecclesiastico pubblico falso, o ne altera uno vero, lo distrugge, lo occulta, o si serve di uno falso o alterato;

2º chi si serve in materia ecclesiastica di un altro documento falso o alterato;

3º chi asserisce il falso in un documento ecclesiastico pubblico.

TITOLO V

DELITTI CONTRO OBBLIGHI SPECIALI

Can. 1392 – Il chierico che abbandona volontariamente e illegittimamente il sacro ministero, per sei mesi continui, con l’intenzione di sottrarsi alla competente autorità della Chiesa, sia punito, proporzionalmente alla gravità del delitto, con la sospensione o anche con le pene stabilite dal can. 1336, §§ 2-4, e nei casi più gravi può essere dimesso dallo stato clericale.

Can. 1393 – § 1. Il chierico o il religioso che contro le disposizioni dei canoni eserciti l’attività affaristica o commerciale, sia punito a seconda della gravità del delitto con le pene di cui nel can. 1336, §§ 2-4.

§ 2. Il chierico o il religioso che, oltre ai casi già previsti dal diritto, commette un delitto in materia economica, o viola gravemente le prescrizioni contenute nel can. 285, § 4, sia punito con le peni di cui al can. 1336, §§ 2-4, fermo restando l’obbligo di riparare il danno.

Can. 1394 – § 1. Il chierico che attenta al matrimonio anche solo civilmente, incorre nella sospensione latae sententiae, fermo restando il disposto dei can. 194, § 1, n. 3 e 694, § 1, n. 2; che se ammonito non si ravveda o continui a dare scandalo, deve essere gradualmente punito con privazioni, fino alla dimissione dallo stato clericale.

§ 2. Il religioso di voti perpetui, non chierico, il quale attenti il matrimonio anche solo civilmente, incorre nell’interdetto latae sententiae, fermo restando il disposto del can. 694 § 1, n. 2.

Can. 1395 – § 1. Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394, e il chierico che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale.

§ 2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto pubblicamente, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti.

§ 3. Con la stessa pena di cui al § 2, sia punito il chierico che con violenza, con minacce o con abuso di autorità commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo o costringe qualcuno a realizzare o a subire atti sessuali.

Can. 1396 – Chi viola gravemente l’obbligo della residenza cui è tenuto in ragione dell’ufficio ecclesiastico, sia punito con giusta pena non esclusa, dopo esser stato ammonito, la privazione dell’ufficio.

TITOLO VI

DELITTI CONTRO LA VITA, LA DIGNITÀ E LA LIBERTÀ DELL’UOMO

Can. 1397 – § 1. Chi commette omicidio, rapisce oppure detiene con la violenza o la frode una persona, o la mutila o la ferisce gravemente, sia punito a seconda della gravità del delitto con le pene di cui nel can. 1336, §§ 2-4; l’omicidio poi contro le persone di cui nel can. 1370, è punito con le pene ivi e nel § 3 di questo canone stabilite.

§ 2. Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae.

§ 3. Se si tratta dei delitti di cui in questo canone, nei casi più gravi il chierico reo sia dimesso dallo stato clericale.

Can. 1398 – § 1. Sia punito con la privazione dell’ufficio e con altre giuste pene, non esclusa, se il caso lo comporti, la dimissione dallo stato clericale, il chierico:

1º che commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo con un minore o con persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o con quella alla quale il diritto riconosce pari tutela;

2º che recluta o induce un minore, o una persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o una alla quale il diritto riconosce pari tutela, a mostrarsi pornograficamente o a partecipare ad esibizioni pornografiche reali o simulate;

3º che immoralmente acquista, conserva, esibisce o divulga, in qualsiasi modo e con qualunque strumento, immagini pornografiche di minori o di persone che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione.

§ 2. Il membro di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica, e qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa, se commette il delitto di cui al § 1, o al can. 1395, § 3, sia punito a norma del can. 1336, §§ 2-4, con l’aggiunta di altre pene a seconda della gravità del delitto.

TITOLO VII

NORMA GENERALE

Can. 1399 – Oltre i casi stabiliti da questa o da altre leggi, la violazione esterna di una legge divina o canonica può essere punita con giusta pena, solo quando la speciale gravità della violazione esige una punizione e urge la necessità di prevenire o riparare gli scandali.