Realismo politico e realismo cristiano

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Il “realismo politico” è spesso raffigurato come una concezione cinica e a-morale della politica, che guarda con sospetto ogni forma di utopismo, rifiuta qualsiasi visione ingenuamente ottimistica della natura umana, della storia e della politica, e sottolinea il ruolo del potere, del conflitto e dell’interesse, in ciascun comportamento individuale o in tutte le imprese collettive.

Nel corso del XX secolo, il teologo protestante Reinhold Niebuhr propone un approccio alla politica che egli stesso definisce “realismo cristiano”. Quest’ultimo, si fonda sul presupposto che nella natura umana siano presenti sia l’amor proprio, sia gli impulsi sociali, e che esista un orizzonte trascendente che governa la storia. Ecco perché, nel comprendere la realtà sociale, occorre evitare di cadere nelle trappole di un realismo cinico o farsi catturare dalle illusioni di un idealismo sentimentale.

Il “realismo cristiano” intende offrire una visione della natura umana e della storia che permette alla politica di non finire incagliata nei propri inevitabili fallimenti, né tanto meno di risultare totalizzante nella sua vana pretesa di successo. In altri termini, desidera evidenziare il carattere contingente di ogni impresa politica. Un tale approccio esprime una visione anti-perfettista che vuole evitare tanto una idealizzazione quanto una demonizzazione della politica.

Seppur non in maniera frequente, l’espressione “realismo cristiano” ricorre anche all’interno della dottrina sociale della Chiesa. Nella Evangelii gaudium, Papa Francesco individua nella «tensione bipolare tra l’idea e la realtà» un elemento fondamentale che richiama alla radice il “realismo cristiano”. Il Santo Padre, infatti, non solo ricorda che «la realtà è superiore all’idea», ma sottolinea anche che tra le due «si deve instaurare un dialogo costante», per evitare che «l’idea finisca per separarsi dalla realtà», generando «purismi angelicati», «totalitarismi del relativo», «fondamentalismi antistorici», «eticismi senza bontà», e «intellettualismi senza saggezza» (Evangelii gaudium, 231).

Di fronte alle innumerevoli sfide del XXI secolo, dal cambiamento climatico alla crisi migratoria, dalle tensioni geopolitiche del nuovo (dis)ordine mondiale ai numerosi teatri di guerra (più o meno) dimenticati, fino alle inquietanti possibilità di ulteriori pandemie, il “realismo cristiano” può (forse) rappresentare un prezioso contributo tanto alla riflessione quanto alla prassi politica.

di Luca Gino Castellin
Professore associato di Storia delle dottrine politiche