«Salati con il fuoco» (Ab. Donato Ogliari osb)

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Nel Vangelo di Marco, dopo che Gesù ha annunciato per la seconda volta la sua morte e risurrezione, e dopo aver invitato i suoi discepoli ad esercitare un servizio umile e caritatevole verso tutti vincendo il male ad ogni costo,

leggiamo questa sua affermazione: «Ognuno sarà salato con il fuoco» (Mc 9,49). 
Indubbiamente tali parole vanno lette tenendo sullo sfondo i riti sacrificali dell’antico Israele, come leggiamo nel libro del Levitico: «Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta porrai del sale» (Lv 2,13). Anche i sacrifici espiatori venivano cosparsi di sale prima di essere bruciati (cf. Ez 43,24). Salando le offerte sacrificali, si voleva infatti simboleggiare l’alleanza con Dio la quale – analogamente alla funzione esercitata dal sale nei confronti del cibo – doveva essere conservata e preservata dalla corruzione. Egli dice che ognuno sarà salato con il fuoco e non con il sale! È il fuoco, infatti, ad assumere le funzioni che sono proprie del sale. Che cosa significa questa trasposizione? Due sono, fondamentalmente, le interpretazioni che possiamo alle parole di Gesù:

  1. L’essere “salati con: il fuoco” può innanzi tutto alludere all’abnegazione e alla disponibilità dei credenti a “bruciare” come un sacrificio o un olocausto accetto e gradito a Dio. Fuor di metafora, l’affermazione può essere intesa come un’esortazione ad affrontare con coraggio e fiducia il fuoco della sofferenza, dell’afflizione, delle prove e delle persecuzioni, fino a dare – se necessario – la propria vita per il Signore. 
    b. In secondo luogo, l’essere “salati con il fuoco” può indicare il cammino di una sempre più intensa comunione con il Signore, cammino che deve passare inevitabilmente attraverso il “fuoco della conversione”. Come affermava Giovanni il Battista parlando del rapporto che Gesù avrebbe instaurato con coloro che lo avrebbero seguito: «lo vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me (…) vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11-12). Si tratta qui, in altre parole, di quel diuturno passaggio dall’uomo vecchioall’uomo nuovoche i cristiani sono chiamati ad operare ogni giorno, in attesa di essere sottoposti, nel giorno del giudizio, al “fuoco della purificazione”.

Quel che soggiace all’una come all’altra interpretazione è, in buona sostanza, quel che potremmo definire la “sapienza della fede”. Ad essere messa in evidenza è infatti la responsabilità con cui i discepoli di Gesù – sorretti, illuminati e guidati dalla fede in Lui – devono rispondere alla loro vocazione di essere «sale della terra e luce del mondo» (Mt 5,13). 
La fede è dunque il “fuoco” con cui i credenti devono essere salati, ossia purificati, affinché la loro adesione al Signore di venti sempre più piena e autentica e la loro missione nel mondo sempre più ardente ed efficace. Come il fuoco che brucia l’erba dei campi per prepararli al nuovo verde che nascerà, o come il fuoco che, nel crogiolo, purifica e separa i metalli preziosi dai minerali (cf. Sir 2,5; Zc 13,9; 1Pt 1,7), così la fede – alimentata dal fuoco dello Spirito Santo che dimora nel cuore dei seguaci di Gesù – purifica e rigenera la loro quotidiana esistenza.
In altre parole, è nella fede che è racchiuso il valore e la realizzazione della nostra vita di uomini e di credenti. Su di essa è fondata quell’apertura di senso che imprime al nostro cammino una meta, un traguardo verso cui tendere, quello dischiusoci da Gesù e che trascende il carattere finito e provvisorio della nostra umanità. Per questo, la nostra fede va curata, alimentata, accresciuta e resa sempre più autentica e bella, affinché ci sia dato di attraversare questo mondo senza lasciarci ammaliare dalle cose di quaggiù, mantenendo lo sguardo fisso sui beni che non periscono.
In proposito, le immagini del fuoco e del sale, sono anche un richiamo all’intelligenza critica della fede, una fede che non disdegna, per partito preso, le realtà terrene, ma sa leggere in esse per discernervi ciò che è bello, buono, vero, onesto, pulito. Una fede intelligente, non credulona o superficiale; una fede che non si lascia “omologare” e fagocitare dagli allettamenti del mondo, il quale è sempre pronto a dispiegare il suo fornitissimo armamentario di lusinghe, pur di allontanarci dal fuoco della fede che si spalanca sul Regno di Dio. Come recita un detto riportato da Origene (ca. 185-253/254 d. C.) e fatto risalire allo stesso Gesù: «Chi è presso di me è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal regno».
A livello più propriamente personale – benché sempre in rapporto al nostro situarci nel mondo – il “fuoco” è anche “simbolo” della lotta interiore che siamo chiamati a sostenere nei confronti dell’ orgoglio, dell’ ambizione, della cupidigia, dell’odio, della malignità. Rappresenta l’ardore o – come direbbe san Benedetto – lo «zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna» e che va coltivato «incessantemente e con ferventissimo amore» (RB 72,2-3). 

Si tratta di quell’ ardore o zelo per le cose di Dio, che ci aiuta a non cedere neppure alle cosiddette “passioni tristi” quali lo scoraggiamento, la sfiducia, la passività, la resa, l’indifferenza che diventa relativismo e che spesso è la porta per il nichilismo. “Passioni tristi” perché, escludendo Dio come “fonte di senso” dall’ orizzonte della propria esistenza, fanno venir meno quella roccia duratura su cui appoggiarsi con sicurezza. 
In definitiva, essere, «salati con il fuoco» significa dare sapore e vigore a quel che siamo e facciamo, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2); quella fede nella quale è contenuta la forza trasformante della vita nuova donataci dallo stesso Signore e che ci incita:

ad essere costanti nel fare bene le cose di ogni giorno, rendendo saporiti quei gesti umili e feriali, quelli che ogni giorno siamo chiamati li riprendere con nuova energia per scoprire in essi l’impronta, del Signore, che si rende presente in maniera viva all’interno del nostro cammino, dandoci forza e sollievo, e mantenendoci nella serenità e nella pace, anche quando siamo toccati dalla sofferenza e dal dolore; 
a ricercare la comunione con il Signore nella preghiera e ad esporci con pazienza e docilità all’influsso della sua Parola, chinandoci su di essa e lasciandoci da essa scrutare e guidare, come da una bussola che con sicurezza ci indica il cammino da percorrere e ci mantiene nella traiettoria che ci conduce a Dio e che Gesù ha tracciato per noi sulla terra; 
a relazionarci agli altri con fiducia, rispetto, comprensione e sollecitudine. Come il fuoco e il sale non servono a se stessi, ma diventano utili in relazione a qualcos’altro da sé, così, il cristiano, «salato con il fuoco» della fede che affina sempre più il gusto delle cose buone, belle, genuine, autentiche, deve contagiare positivamente coloro che lo circondano con la testimonianza di una fede vissuta in modo coerente e gioioso.

In conclusione, l’augurio che rivolgiamo a tutti i nostri lettori è che il periodo che stiamo vivendo ci trovi solleciti nel lasciarci “salare con il fuoco”, quel fuoco che è la “sapienza della fede” alimentata dallo Spirito Santo, che motiva e sostiene la nostra speranza e che trova la sua più sublime e sostanziale espressione nel duplice comandamento dell’ amore a Dio e ai fratelli, così come Cristo, nostro insuperabile modello, ci ha insegnato con la sua stessa vita. 
Il Signore, dunque, aumenti e renda sempre più limpida e ardente la nostra fede e la nostra speranza, affinché possiamo guardare a questo periodo che ci si schiude dinanzi con rinnovata fiducia in Dio e con la certezza che il suo Amore, che mai viene meno, non mancherà di sostenerci passo dopo passo. E questo Amore di Dio sia davvero per noi come una «camicia di fuoco che forza umana non può levare» e grazie alla quale «noi viviamo, noi respiriamo soltanto se bruciamo e bruciamo» (1).

1) TH. S. ELIOT, Four Quartets (tr. it. Milano 1976, p. 77).