SAN GIUSEPPE: L’uomo di cui si fida Dio

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In circostanze difficili per i credenti, l’8 dicembre 1870 il Papa beato Pio ix affidò la Chiesa alla speciale protezione di san Giuseppe, dichiarandolo appunto «patrono della Chiesa cattolica». I fedeli furono esortati a invocare il patrocino di colui che, a suo tempo, con tenerezza e amore paterno sapeva accompagnare Gesù che «cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Luca 2, 52). E, con «il coraggio creativo», era anche in grado di prendersi cura di Lui e di difenderlo «dai tanti pericoli che sovrastavano la Santa Famiglia». Infatti «il Figlio dell’Onnipotente viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. Si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino».

A 150 anni dal patrocinio, nella festa dell’Immacolata, l’8 dicembre 2020, è stata resa nota ufficialmente l’apertura dell’Anno di san Giuseppe, che si prolungherà fino all’8 dicembre 2021. Per l’occasione, Papa Francesco ha pubblicato la lettera apostolica Patris corde nella quale mette in risalto le diverse dimensioni della paternità di Giuseppe, che si esprime «nell’aver fatto della sua vita un’oblazione di sé nell’amore posto a servizio del Messia».

I fedeli e le persone bisognose, fronteggiando le numerose sfide del momento presente, sono invitati a ricorrere al loro protettore e, tra l’altro, con le parole della preghiera A te, o beato Giuseppe. Effettivamente chiediamo che egli ci protegga dagli errori e dai vizi, ci sostenga nella lotta col potere delle tenebre e ci aiuti a superare le avversità.

L’iniziativa dell’Anno speciale dedicato al Custode del Redentore farà forse sorgere in qualcuno la domanda: è possibile che una figura lontana nel tempo, come quella di san Giuseppe, amata dal popolo cristiano e dai santi ma, di solito, ignorata dalla teologia, possa ispirare la Chiesa di oggi e trasmetterle qualche messaggio? Oppure: vale la pena riproporre, nel nostro tempo, contrassegnato dal protagonismo, un santo dall’umiltà operosa, del silenzio, e sempre in “seconda linea”, come modello da imitare? Cosa in fondo la sua vicenda può ancora insegnare agli uomini del xxi secolo?

Rispondendo a queste domande, basta constatare che è lui, san Giuseppe, che ci riporta al centro della vocazione cristiana e ci aiuta a riscoprire il sempre attuale e inconfondibile stile del servizio, a Dio e al prossimo. Volendo indicare una parola che, da sola, riassuma la missione e l’eredità spirituale di san Giuseppe, basta dire «Gesù», il nome che il Falegname di Nazareth fu chiamato a pronunciare e imporre al Bambino (Matteo 2, 25). «Ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome rivelato dall’Angelo: “Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1, 21). Come è noto, dare il nome a una persona o a una cosa, presso i popoli antichi significava conseguirne l’appartenenza, come fece Adamo nel racconto della Genesi (cfr. 2, 19-20)».

In questo contesto sono sempre attuali le parole di san Paolo rivolte ai Filippesi: «Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (2, 10).

San Giuseppe vive profondamente l’unione con Gesù, lo contempla con lo sguardo paterno nel mistero dell’incarnazione e nei misteri della vita nascosta e: «Da tutte queste vicende risulta che “è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza”».

Il santo Falegname di Nazareth ha messo Gesù al centro della sua esistenza e della sua missione. Il suo esempio è un forte richiamo per l’uomo di oggi, troppo spesso diviso tra tante “necessità” inutili, a ricentrare tutto se stesso in Gesù, l’“unico necessario”, da cui tutto il resto proviene e assume significato e valore. In questo modo ci ricorda costantemente che la vocazione cristiana consiste anzitutto nella relazione personale con Gesù Cristo.

Alla scuola di san Giuseppe, infatti, si impara ad accogliere la Parola come la ragione della vita, e la fortezza d’animo come condizione indispensabile per affrontare le sfide della vita quotidiana e dell’apostolato. Lui «ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca».

L’Anno dedicato allo sposo di Maria ci offre, dunque, l’opportunità di riscoprire la sua figura e di implorare la «grazia della nostra conversione». Inoltre, è un’occasione propizia per far risaltare alcuni aspetti e temi fondamentali della vita cristiana, legati alla sua missione, come, ad esempio, il generoso servizio agli ultimi nella vita quotidiana e la santità del matrimonio e della famiglia. In particolare, nella società occidentale, dove la figura del padre diventa sempre di più svanita e assente, il richiamo alla paternità di Giuseppe può costituire uno stimolo alla riflessione e al recupero di questa importante figura nella formazione dei figli che sono chiamati a crescere «in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini»

Infatti, «tutti possono trovare in san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà». 

di Jan Pelczarski
Superiore generale degli Oblati di San Giuseppe