Significato profondo della Quaresima (Padre Innocenzo Gargano)

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Mi sento intanto di dirvi due cose legate al titolare della vostra Chiesa: San Luigi Gonzaga. Sapete che ho una certa età e, rispetto a Don Luca, sono molto più anziano, e sono stato educato tenendo presente San Luigi Gonzaga. Era proposto come colui che aveva mantenuto la stola battesimale intatta. Non so che cosa voi intendete quando sentite dire queste cose antiche: «la stola battesimale intatta». Ma quando io questa proposta l’ho fatta ai miei studenti di teologia, all’università Urbaniana, l’ho accostata alla Immacolata Concezione.

C’è tanta gente che non riesce a distinguere molto bene tra «Immacolata Concezione» e «concepimento verginale di Gesù» da parte di Maria. Tanta gente fa un po’ di confusione tra le due cose, anche la gente comune che viene in Chiesa ed è praticante. Quando si parla dell’Immacolata Concezione, automaticamente, concludono che si tratta del concepimento verginale di Gesù, da parte di Maria. In realtà noi sappiamo che è un’altra cosa. L’immacolata Concezione è il punto di arrivo di una riflessione dei grandi Padri della Chiesa, che ha fatto fatica ad essere recepita anche formalmente dalla teologia cattolica, ma che, alla fine, è riuscita ad imporsi. Nel 1854, Papa Pio IX dichiarò l’Immacolata Concezione. Di che cosa si tratta?

La riflessione su questa misteriosa situazione in cui si è venuta a trovare Maria comincia già da San Giustino e viene esplicitata da Sant’Ireneo di Lione. Questi Padri antichi cercavano di collegare la storia personale di Maria con la storia di Eva. Eva, la madre di tutti i viventi, era senza peccato quando è stata provocata dal serpente, in modo che con libertà scegliesse da che parte intendeva stare: se voleva stare dalla parte di chi obbedisce alla parola di Dio e si fida totalmente di Dio, oppure dalla parte di chi la sollecitava a trovare una strada diversa per arrivare a Dio, passando attraverso la fecondità, la fertilità, la ricchezza, ma anche la sapienza, che potevano venire dalla terra. E dunque Eva ha fatto la sua scelta senza essere stata condizionata da nessun’altra scelta precedente, né sua né di altre prima di lei.

Siccome Maria è venuta progressivamente ad essere riconosciuta come la nuova Eva, i Padri della Chiesa e poi i teologi hanno dovuto dedurre che, anche nel caso di Maria, ci si doveva trovare di fronte ad una situazione analoga a quella di Eva. E cioè: doveva essere nella stessa libertà interiore di Eva, senza nessun precedente che avesse potuto  spingere in una direzione o in un’altra, perché anch’essa avesse potuto fare la sua scelta libera davanti alla sollecitazione che gli veniva dalla Parola di Dio. E Maria, a differenza di Eva, ha ritenuto opportuno dare piuttosto la propria adesione alla Parola di Dio, che non ad altri tipi di interesse umano.

E così è cresciuta questa convinzione nella Chiesa che Maria fosse stata preservata dal peccato originale, «ante praevisa meritis Christi», si dice in latino. Cioè, non perché fosse stata una creatura diversa da tutte le altre, ma semplicemente perché i meriti di suo figlio Cristo avevano avuto in lei una possibilità di riuscire a realizzare qualcosa che era al di la del tempo, prima del tempo e al di la di tutti i criteri semplicemente umani.

Perché, per parlare di Gesù risorto, noi possiamo partire da qui? Perché, di fatto, ciò che ha vissuto Maria, l’ha poi vissuto personalmente Gesù, fino al punto che alcuni Padri dicono che Maria non è altro che la profezia di Cristo.

Sappiamo quale fu la conseguenza del dialogo tra Maria e l’angelo. L’angelo l’ha messa di fronte alla sua situazione personale. Lei ha capito benissimo che poteva essere una situazione molto drammatica per la sua persona, rischiava di essere lapidata, accusata di adulterio, ma lei ha accettato di passare attraverso questa strada, pensata per lei da Dio, accettando di essere «la serva del Signore» (Lc 1,38).

Dire: «eccomi, sono la serva del Signore» (cf. Lc 1,38), significava per Maria vivere nella propria persona ciò che poi suo figlio avrebbe vissuto a sua volta identificandosi col servo del Signore. E chi è questo servo del Signore? Se voi prendete la Bibbia e andate a cercare il Secondo Libro di Isaia, il cosiddetto deutero-Isaia, voi trovate che ci sono quattro canti, cosiddetti “canti del Servo” (cf. Is 42, 49, 50, 52),  in cui il profeta ci fa intuire progetti molto misteriosi da parte di Dio, progetti che coinvolgono questo uomo in prima persona e lo coinvolgono come chi è stato scelto per portare su di sé tutti i peccati del popolo. Diventa questo Agnello che si lascia condurre al macello senza ribellarsi. Questo Agnello innocente, che pure accetta di essere caricato di tutti i peccati del mondo. Una situazione anche molto dura per questo servo. Si parla addirittura di un uomo talmente sfigurato dalla sofferenza, dalla violenza, che gli altri non riescono a sostenerne la visione. Come colui di fronte al quale ci si copre il volto. E si parla di un dorso arato, proprio come viene arata la terra (cf. Sal 129,3), dunque di una sofferenza terribile.

Possiamo capirlo soltanto se leggiamo la disponibilità di Maria alla luce di questo tipo di profezia, rendendoci conto che questa donna è stata davvero la donna forte, la donna che ha accettato tutto ciò che le chiedeva la Parola di Dio, e l’ha portato fino in fondo.

 

Abbiamo detto che tutto questo in Maria è profezia di Gesù. Quando noi siamo entrati nella Quaresima, siamo entrati attraverso un portale che si ripete tutti gli anni nella prima domenica di Quaresima. Siamo stati messi di fronte a questo Gesù di Nazareth che ha accettato di mettersi in fila con i peccatori, quindi ha accettato di essere identificato con i delinquenti, è passato attraverso le acque del Giordano, è riemerso dalle acque ed è riemerso come un uomo pieno di Spirito Santo. Questo è ciò che ci è stato proposto, e ci viene sempre proposto, ogni prima domenica di Quaresima.

Ma ciò che segue adesso è importante. E perché è importante? Perché, di fatto, ciò che ha vissuto Gesù passando attraverso le acque del Giordano, viene poi rivissuto dai battezzati. Tutti noi, in fondo, quando ancora non avevamo neppure l’uso di ragione, siamo stati immersi in quell’acqua e siamo riemersi dall’acqua, anche noi pieni di Spirito Santo.

Che cosa è successo? È successo che noi siamo stati posti nella stessa condizione in cui si è ritrovata Maria. Attraverso il battesimo siamo diventati di nuovo immacolati. Ecco perché di San Luigi Gonzaga si dice che ha mantenuto «la stola battesimale». Ha potuto rivivere nella propria vita, era un ragazzo straordinario, ciò che poi aveva vissuto Maria. Maria, nella sua immacolatezza, era stata posta di fronte all’alternativa di fare una scelta diversa, ha scelto di essere totalmente fedele alla Parola di Dio. Ogni battezzato che passa attraverso le acque battesimali e riemerge dall’altra sponda della vasca battesimale, riemerge come Maria.

Se prendiamo il testo che riguarda Gesù, con il quale noi ci incontriamo tutte le volte che iniziamo la prima domenica di Quaresima, ci accorgiamo che ciò che ha vissuto Maria e ciò che anche noi, di fatto, abbiamo vissuto nel battesimo, è niente altro che profezia di ciò che ha realizzato Gesù.

Quindi, da una parte, si dice che Maria è profezia di Gesù, dall’altra, diciamo che Gesù è profezia della nostra stessa esperienza. Perché tutto ciò che è stato detto prima di Gesù e tutto ciò che sarà detto dopo Gesù, in Gesù trova la sua spiegazione. E quale spiegazione trova? Che questo uomo di Nazareth, che ha accettato di condividere la situazione umana lasciandosi immergere da Giovanni Battista nelle acque, quindi entrando nell’abisso delle acque, con quel gesto, ci ha messi di fronte a ciò che noi chiamiamo mistero pasquale.

Che cosa succede a Pasqua? Di cosa facciamo memoria a Pasqua? Proprio di questo facciamo memoria, di un uomo chiamato Gesù, che si è lasciato caricare di tutti i peccati del mondo (cf. Is 53,4): «ecco l’Agnello di Dio, colui che porta su di se tutti i peccati del mondo» (Gv 1,29), li ha immersi con sé stesso nell’abisso della morte, fino agli inferi, fino alla profondità degli inferi, ma siccome dentro di sé aveva questa pienezza di Spirito Santo, è riuscito con la morte a sconfiggere la morte e a riaprire per tutti la strada di una nuova vita.

Dunque ciò che noi abbiamo vissuto nel battesimo, che era stato prefigurato da Maria, è stato realizzato da Gesù ed è stato realizzato in vista di Lui: è ciò che noi chiamiamo partecipazione al mistero pasquale.

Ma ritorniamo di nuovo alla pagina della descrizione di Gesù che emerge dalle acque battesimali del Giordano e, pieno di Spirito Santo, viene gettato dallo stesso Spirito nel deserto. Allora dobbiamo cominciare a capire, a interrogarci almeno, di quale deserto si tratta. Per poter capire di quale deserto si tratta dobbiamo inevitabilmente ritornare molto indietro e renderci conto che ciò che ci viene raccontato di Gesù, ciò che abbiamo intuito di Maria, in realtà è stato già vissuto in precedenza dal popolo di Israele. Tutti certamente conoscerete la storia della liberazione del popolo di Israele dall’Egitto. Di cosa si è trattato? Si è trattato di una elezione compiuta da Dio, che ha permesso al popolo, sotto la guida di Mosè, di passare attraverso le acque, di discendere nell’abisso del mare e di riemergere come figli di Dio. È passato dalla schiavitù, che noi possiamo davvero identificare con la morte, e attraverso questa immersione nelle acque è riemerso dall’altra sponda come un popolo finalmente libero. Ma appunto perché libero, adesso viene messo alla prova nella sua libertà.

Tutti i quaranta anni vissuti da Israele nel deserto, non sono soltanto anni di dialogo con Dio attraverso Mosè, non sono gli anni in cui sono stati nutriti dalla manna, sono stati nutriti dalla carne, che veniva gratuitamente a loro portata di mano, dall’acqua che li accompagnava, come abbiamo sentito domenica scorsa, lungo il loro tragitto verso la terra promessa. No, no, sono stati anche accompagnati da prove una più severa dell’altra.

Si trattava di forgiare un popolo, si trattava di far passare dall’infanzia all’adolescenza, alla giovinezza, alla maturità. Per questo tipo di maturazione è stato scelto Mosè, per questo tipo di maturazione sono state date le dieci Parole di Dio, per questo tipo di maturazione, lungo il tragitto, non è venuto meno il cibo, l’acqua, il pane. Dunque vuol dire che questi quaranta anni nel deserto, sono i quaranta anni della crescita.

I tre sinottici, soprattutto Matteo e Luca, Marco è molto più sintetico, ci danno anche degli esempi concreti di cose che sono state già vissute dal popolo di Israele, che non sempre ha risposto come avrebbe potuto rispondere, e ci descrivono invece come ha risposto Gesù di Nazareth: sono le tre grandi tentazioni delle quali certamente avrete sentito parlare e forse avrete anche approfondito, nella prima domenica di quaresima: la tentazione del pane, la tentazione del potere, e la tentazione della religiosità.

Si capisce abbastanza la tentazione del pane, si può capire altrettanto facilmente, con qualche difficoltà, la tentazione del potere, è più difficile capire la tentazione della religiosità. Non sto a prolungarmi sulla prima tentazione del pane: «non di solo pane vivrà l’uomo» (Mt 4,4; Lc 4,4). Quindi vuol dire che chi è emerso dalle acque, come l’uomo nuovo, come creatura nuova, come Maria Immacolata, come il vostro san Luigi Gonzaga, è sollecitato adesso a fare una scelta: a cosa deve dare importanza? Al pane che serve per il sostentamento del corpo, oppure alla Parola di Dio che serve per garantire la vita? E non soltanto quella fisica. Con quella famosa dichiarazione dell’evangelista Matteo: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

Dunque questa è la prima provocazione. Siamo davvero disposti, dopo che siamo rinati dal battesimo, ad assumerci il rischio che davvero esiste un’altra vita oltre a quella fisica? Non sembri troppo semplice la risposta da dare a questa provocazione, perché è una risposta che accompagna tutta la storia dell’umanità e, oggi in particolare, sta accompagnando le nostre generazioni. Noi scommettiamo su l’esistenza di un’altra vita, noi scommettiamo che oltre le necessità alle quali possiamo rispondere attraverso il pane, quello del forno, ci sia altro! Anche chi pensa di aver risolto questo interrogativo, che rimane aperto, e rimane aperto perché è un continuo rischio, è una continua provocazione, e quindi anche una richiesta continua che ci viene fatta: a chi intendi dare il primato? Al pane che esce dal forno o al pane della Parola di Dio? «Non di solo pane vivrà l’uomo».

La risposta che ha dato Gesù, la risposta che ha dato Maria, la risposta che può aver dato San Luigi, è che è preferibile nutrirsi di Parola di Dio, perché poi tutto il resto ti sarà dato in aggiunta (cf. Mt 6,33) .

Ma non so quanti di noi si ritroverebbero nella compagnia di questi tre primati: il primato della Parola, il primato della sequela, il primato della fede. Non perché le altre cose non siano importanti, ma perché le altre cose devono venire dopo. Se vengono prima, ancora peggio se poi pensano di ridurre tutto ai propri bisogni di ordine fisico, di ordine creaturale, di ordine mondano, cioè circoscritto alla realtà creaturale. Ognuno poi farà la scelta che ritiene. Questa è una tentazione molto sottile. E non ci sono mancati i mezzi, perché siamo stati reimmessi nella immacolatezza col battesimo. Abbiamo ricevuto la stola battesimale, siamo in compagnia di chi è stato capace di utilizzare la sua libertà di scelta, preferendo la Parola di Dio alle sollecitazioni della creatura. Quindi non possiamo dire: “noi siamo in una condizione diversa”, no!

La seconda tentazione di questo portale che introduce all’esperienza della Pasqua, è la tentazione del potere. Guardate che il mondo è posto sotto le leggi del potere. È la seconda tentazione del vangelo di Luca: “lo vedi questo mondo?”. Gli dice il principe di questo mondo, cioè colui che domina su questo mondo. “Questo mondo è stato dato a me”. Molto misterioso questo discorso, molto simbolico, mitico se volete anche, però molto reale, perché è l’esperienza quotidiana che facciamo. È molto simile alla provocazione del pane: “dì che queste pietre diventino pane”, molto simile. “Ma lascia perdere che esista Dio, ma lascia perdere che ci sia una risurrezione, ma lasciale dire ai preti queste cose, tu sii concreto, sii realista. Guarda che se tu ti dai totalmente a questo mondo, io ti garantisco che diventerai principe di questo mondo”.

Inutile dire: “ma no, queste non sono cose che toccano me, toccheranno magari chissà quali grandi personaggi della storia”. Non è vero, non è proprio vero. Perché è così che poi, alla fine, ci comportiamo un po’ tutti noi, messi di fronte all’alternativa secca. Preferisco sottomettermi alle regole dettate da questi criteri, dettate dal principe di questo mondo, assolutizzando il relativo, e quindi finendo nell’idolatria, perché questa è l’unica tentazione: assolutizzare il relativo e finire nell’idolatria.

E naturalmente sono tantissimi gli ambiti di questa nostra storia umana, di questa nostra realtà concreta, mondana, in cui diventiamo idolatri del denaro, idolatri della carriera, idolatri della cultura, idolatri della gestione dei servizi… a tanti livelli si può diventare idolatri. Quindi l’idolatria, o tu la guardi in faccia e gli dai il nome che veramente ha, o altrimenti sei già succhiato dentro e Dio non ti interessa più nulla e ti precipiti, mani e piedi, all’interno di questo tipo di cammino. E quando arriva il limite, che arriva per tutti, ormai è troppo tardi, ti ha già preso per la gola e finisci in compagnia dell’idolo che hai idolatrato.

Per questo Gesù è molto deciso: «Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Mt 4,10).

Perché non sono queste cose che ti danno la vita, che ti danno la felicità; apparentemente sembrano darti il bene-essere, in realtà non sono altro che una schiavitù alla quale tu ti sottometti perché non riesci più a ricordare Colui che è unico e che ha dato la vita.

Sta scritto quindi: “adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui soltanto” (cf. Mt 4,10). Servo di Dio e di nessun altro!

Io ricordo che, quando ero ragazzino, ho fatto gli esami di ammissione nella scuola media con il gruppo di don Lorenzo Milani. Non perché io sia stato educato da lui, ma perché ero con i suoi ragazzi nel Mugello. Ricordo di una lettera che scrisse ad un suo amico, ove disse: “guarda, stai attento a non servire gli altri per farti servire dagli altri. Non far credere di metterti a disposizione degli altri perché gli altri ti mettano su un piedistallo e tu possa poi godere di tutti gli applausi. Sappi che quando, insieme con te, avremo raggiunto una vita, mi ritroverai dall’altra parte”.

Dunque sono sollecitazioni molto più subdole di quanto noi immaginiamo. Perfino quando ci si dedica agli altri lo si può fare unicamente in vista di un potere, di un acquisto di autorità e, qualche volta, anche di autorevolezza, perché è molto più subdola l’autorevolezza. Ma sempre all’interno di un cedimento nei confronti dell’idolatria: mettiamo il relativo al posto dell’assoluto e ne veniamo fagocitati.

La terza provocazione che viene posta in questo portale, che ci ha introdotti alla quaresima, è la provocazione della religiosità, della religione. I teologi ci diranno che satana ha provocato Gesù: “non sei figlio di Dio? Se sei figlio di Dio, cerca di godere questa tua realtà, dimostra di essere figlio di Dio. Dimostralo facendo cambiare le pietre il pane (cf. Mt 4,3). Dimostralo, se vuoi, lasciando perdere tutti gli altri riferimenti mitici e accetta le regole di questo mondo e sii principe di questo mondo! Se sei figlio di Dio, Dio non ti abbandonerà mai (cf. Mt 4,5-6). Perché non lo provochi un po’? Perché non gli chiedi di essere davvero dalla tua parte?”. E chiede un gesto molto drammatico per noi: “buttati giù, perché se Dio ci tiene a te, se Dio ti considera figlio, come tutti ti dicono, come a te è stato detto quando sei emerso dalle acque del Giordano, gettati giù, qualcuno ti raccoglierà, magari manderà gli angeli per sollevarti, in modo che il tuo piede non si scontri con la durezza della pietra” (cf. Mt 4,6).

La religione è una delle tentazioni più subdole perché è basata sulla mercantilità che è tipica degli esseri umani. Siamo capaci di trasformare tutto in commercio. Perfino i sentimenti più delicati, perfino l’amore pretende la reciprocità, al punto che se non c’è reciprocità si è disposti anche a tagliare qualunque tipo di rapporto.

Tutto questo mercantilismo, che sembra essere l’unica legge vincente all’interno dei rapporti umani, poi si pretende di farlo diventare una regola di comportamento anche nei confronti di Dio. È molto facile constatarlo nella nostra vita personale. Io ti faccio una preghiera poi voglio una grazia, se no, perché ti faccio una preghiera? Quindi io, sì, sono disposto di dare qualcosa a te, ma tu devi dare qualcosa anche a me. E quando sembra che Dio sia sordo, cieco, o che non abbia più la forza di venirci incontro, si taglia corto. Io vado per i fatti miei perché tu hai dimostrato di non essere in grado di venirmi in aiuto.

È la più subdola tentazione dell’uomo. Tutte e tre queste proposte che vengono dagli evangelisti, riguardano l’alternativa secca: “ti fidi di Dio o no?”. Sei disposto, per dimostrare che ti fidi di Dio, di fare a meno di legarti ai bisogni di questo mondo o a tutti gli onori che ti può dare il mondo? Perché non lo provochi? Queste sono le grandi tentazioni della quaresima.

Sono le tre grandi tentazioni dei quaranta giorni e quaranta notti passate da Gesù nel deserto. E queste sono state anche le grandi tentazioni del popolo di Israele nei quaranta anni di pellegrinaggio verso la terra promessa. E sono le nostre tentazioni, abbiamo il coraggio di dirlo. Soprattutto l’ultima è la più subdola, la più pericolosa.

Ci illudiamo di essere dei credenti, ma siamo soltanto dei religiosi. Ci manca la fede! Non abbiamo neppure la fede piccola come un granellino di senape, e dunque le montagne restano lì (cf. Mt 17,20).

Ma chi è capace a riconoscerlo? Chi è capace a dire no? Non è Dio che non mi vede, non è Dio che non ascolta, sono io che non mi fido di Lui, sono io che non mi affido a Lui. Ma sì, la religione è un bel gioco, tutto sommato può andare anche bene ogni tanto andare a Messa, darsi qualche verniciatina alle proprie scarpe, ma Dio è superfluo: oggi Dio è superfluo! Lo vogliamo ammettere o no, lo vogliamo riconoscere o no, ma Dio sembra superfluo, secondario.

Ecco perché si respira un po’ dappertutto l’indifferenza. Non ci si impegna neppure a combatterlo, una volta c’era chi combatteva, chi era ateo militante.  Adesso non gli importa più niente a nessuno, ma che militanti? Contro Dio! Ma se non c’è neppure Dio, Dio è morto!

E lo dimostra il fatto che tutti i giorni siamo di fronte a tragedie umane. E non solo tragedie umane causate dagli uomini, che quelle tutto sommato troveremmo anche il modo di spiegarle, no, no, tragedie legate alle situazioni cosmiche addirittura, una meteora che cade all’improvviso su un posto chissà dove, lo sceglie lei dove cadere. Poteva cadere sulla cupola di San Pietro ed è caduta nella Siberia, è un evento di qualche settimana fa. Un incidente stradale. Chi se lo poteva aspettare? Per non parlare di cose molto più dure da accettare come le malattie mortali dei bambini. Sono cose terribili: un amico, un’amica, un papà, una mamma di famiglia. Sono cose veramente serie.

La scommessa è tutta qui. Nonostante tutto credere! Nonostante tutto essere convinti che poi, al di là del deserto, ci sarà una terra e una terra da dove scorrono latte e miele. Ma ci crediamo davvero? Allora, quando arriverà la Pasqua, è di questo che ci dovremmo interrogare. È del tutto ovvio che mentre ci avviciniamo alla Pasqua dovremmo tentare di renderci conto di queste provocazioni, che sono sintetizzate nelle tre prove descritte a proposito di Gesù, ma che poi disseminano, di fatto, tutto il nostro cammino cosiddetto religioso. Non di religiosi consacrati, ma religiosi del cammino cristiano.

E qui ci arriva in aiuto, un’altra pagina del Vangelo di Matteo. Ed è la pagina che abbiamo letto il mercoledì delle ceneri, quando ci sono state messe le ceneri in testa (cf. Mt 6,1-6.16-18). Tre manifestazioni tipicamente religiose che fanno fatica a morire. Cioè, fanno fatica a lasciare il posto alla fede. Siamo bravissimi nell’apparire, apparire grandi digiunatori, apparire grandi oranti, se volete, apparire generosissimi, apparire, non essere! E crediamo, e queste sono le forme tradizionali della religiosità. In tutte le religioni del mondo queste tre forme: elemosina, preghiera e digiuno, costituiscono la religiosità.

Pensate ai nostri amici islamici, che ormai sono dappertutto in Italia, quanta importanza danno al digiuno e all’elemosina e alla preghiera… molto, molto più di noi; e noi potremmo essere tentati, alla fine, e provocati lo siamo sempre, di appiattire la nostra fede alle forme religiose, soprattutto quando queste forme religiose possono poi dare un compenso: un compenso di stima, un compenso di notorietà, e anche un compenso di potere!

L’ipocrisia è l’unico difetto che Gesù, nel NT, mette sempre in mostra senza farsi condizionare da nessuno: ipocrita! E sapete chi è l’ipocrita? L’ipocrita è colui che «si nasconde sotto», ipo-cripto, noi diciamo, si nasconde dietro una maschera. È la maschera dell’apparenza, è la maschera dell’apparire. Siamo in una società dell’apparire: uno esiste solo se è visto in TV, altrimenti non è nessuno. È così oggi, eh? Ci sono ragazze e ragazzi giovanissimi che sono disposti a vendersi pur di apparire nell’immagine televisiva.

E Gesù puntualizza quell’ipocrisia che si nasconde soprattutto sotto le sembianza del grande digiunatore, del grande orante e del grande elemosiniere. E richiama, e questo diventa anche una specie di vademecum che dovrebbe accompagnare il cammino battesimale verso la Pasqua, richiama e rimanda all’incontro intimo, personale con Dio, con colui che vede nel segreto (cf. Mt 6,4.6.18).

E da anche delle indicazioni precise: vuoi pregare? Benissimo, allora fai così. Entra nella tua camera, chiudi per bene porte e finestre, che nessuno ti veda, assolutamente nessuno. Poi entra nella profondità del tuo cuore e lì, nell’intimità del tuo cuore, rivolgiti al Padre. E il Padre che vede nella tua intimità certamente ti risponderà.

Nessuno deve sapere nulla. Una delle massime che ci venivano insegnate a noi, da giovani novizi, era: «secretum meum mihi», il mio segreto appartiene solo a me; e aggiunto a questo c’era: «ego vobis, vos mihi», è in quella segretezza che tu consumi l’amore con Dio. Quindi tutto il resto è tentazione.

Noi diciamo che la fede deve essere visibile, che dobbiamo anche andare in parrocchia, che vogliamo impegnarci anche nel sociale, dobbiamo far vedere che siamo cristiani, in modo che tutti capiscano che c’è qualcuno che ci crede veramente. D’accordissimo, sono tutte cose super vere. Ma se non c’è questo incontro personale, stiamo soltanto barando, siamo soltanto degli ipocriti. Facciamo credere di impegnarci per la chiesa, per Dio, per gli altri, ma stiamo soltanto costruendo il nostro piedistallo. E poi le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, e guardate che stiamo parlando delle tre forme più alte dell’esperienza religiosa. Quindi, vuoi davvero incontrare Dio? Beh, intanto comincia con scendere all’interno del tuo stesso cuore, nel segreto della tua cella del cuore. Gregorio Magno diceva: vai nella «curia cordis», la curia nell’impero romano era il luogo dove si prendevano tutte le decisioni, e lì, onesto con Dio e con te stesso, formula le tue decisioni.

Questa è Quaresima, questo è l’invito a essenzializzare il proprio cammino davanti a Dio. Non farselo soffocare dalla religiosità, ma aprendolo alla fede. La grande tentazione di noi che siamo dei credenti, o vorremmo essere dei credenti, è quella di fare affogare la fede dalla religione.

Dunque abbiamo parlato della preghiera, ma se poi andiamo oltre e pensiamo al digiuno, il digiuno è un’altra delle forme che si prestano all’ipocrisia. Possiamo anche sbandierarlo davanti a tutti. È veramente pieno di sincerità il ramadam, per fare un esempio concreto che comincia a essere visibile anche nelle nostre città, è sacrosanto e bisogna rispettare la gente che vive con sincerità questa forma religiosa, però è anche molto pericoloso; è molto pericoloso perché si può prestare all’ipocrisia. E anche noi, che diciamo di aver cominciato il cammino della quaresima, astenendoci dal mangiare la carne, i latticini e tutto quello che ci potrebbe far male alla salute… Furbacchioni! Far male alla salute! Vedete come è sottile la tentazione? Far male alla salute… e si approfitta della Quaresima.

No, quella è soltanto strumentalizzazione della Quaresima. Il digiuno è importante invece, e per questo io veramente sono pieno di sincero stupore di fronte ai fedeli islamici. Il digiuno è il segnale della dipendenza da Dio, il segnale per eccellenza della dipendenza da Dio, perché il digiuno ti permette di fare esperienza della tua debolezza, di fare esperienza del tuo limite, e perciò ti provoca, ti provoca ad aprirti a colui che, unico, ti può dare una mano, unico, ti può fortificare, unico, che ti può salvare. Dunque, da quel punto di vista lì, enorme rispetto.

Ed è un digiuno che anche a noi è chiesto di fare, non è il digiuno di cibo e di bevanda, ma è un digiuno di consapevolezza della propria creaturalità, del proprio essere limitati, del proprio dipendere unicamente da Dio, dall’amore di Dio, certo.

Dunque il digiuno diventa importante. Se lo riduciamo alle forme religiose, alle forme cosiddette ascetiche, diventa soltanto un gioco. Io mi ricordo quando ero novizio che c’era, il sabato mattina, la confessione delle colpe pubbliche, bisognava dire la propria colpa in pubblico, ed era veramente un mercato della religione. Perché c’era gente veramente sincera, che diceva peccati veri e li diceva con il cuore davvero contrito. E c’era gente che faceva soltanto del teatro, e nessuno se ne accorgeva. Erano pochissimi quelli che si accorgevano di essere difronte al teatro. Abbiamo dovuto smettere perché si era ridotto tutto in teatralità.

Dunque pensate un po’ a quante altre forme può assumere questa teatralità. Non voglio andare troppo oltre, la teatralità la tagliate con il coltello qui a Roma, basta andare in un seminario, all’università pontificia, lo vedete subito quanta teatralità c’è in giro. È tutta venduta come la quintessenza della propria proposta religiosa, della propria proposta chiamiamola pure confessionale. Il digiuno è una cosa serissima. Il digiuno dunque significa consapevolezza profonda del proprio limite e della propria totale dipendenza da Dio, e questo sia sul piano del corpo, sia sul piano dei sentimenti, degli affetti e sia anche sui piani cosiddetti spirituali, che sono la dimensione dell’intelligenza, la dimensione della conoscenza, della scienza. Tutte sollecitazioni che, secondo Paolo, vanno sotto i due termini: «greci che cercano la sapienza» e «giudei che cercano i miracoli»… e lui dice: no, né gli uni né gli altri, perché l’unica sapienza è la croce di Cristo (cf. 1Cor 1,22-25), dove trovate un uomo che non può muoversi né con le mani né con i piedi, è messo nelle mani di tutti e possono farne quello che vogliono: e questa è la sapienza di Dio!

Dunque il digiuno è una cosa serissima; non ci si può coprire dietro un dito dicendo di astenersi dal mangiare la carne il venerdì, oppure durante tutta la Quaresima. Sono veramente fumo negli occhi. Quello che davvero vuole digiunare lo può fare sempre, lo può fare sempre. San Benedetto dice che tutta la vita del monaco dovrebbe essere una Quaresima, in questo senso qui. E ci si può dedicare a queste cose quando lo riteniamo opportuno, purché sia digiuno vero, non teatralità. Non si gioca con Dio. Quindi: preghiera, digiuno, elemosina.

La Chiesa, quando ha cercato di chiarire, nelle sue scelte pastorali, la necessità di rivisitare le pratiche del digiuno, della veglia o della preghiera, ha sempre sottolineato che tutte queste forme religiose, alla fine, trovano il loro punto sintetico di riferimento nell’elemosina.

Ma che cosa significa elemosina? Significa prendere qualche spicciolo di euro e darlo a chi troviamo per strada? Può essere una forma, ma non si può ridurre a questo. La «eleēmosynē» indica quell’atteggiamento, che è proprio di Dio, di piegarci verso l’altro, senza stare a fare distinzione se è degno o non è degno, se mi sta imbrogliando oppure no, perché è il cuore che si piega, anzitutto, e poi eventualmente si può piegare anche il corpo. Si possono piegare anche le nostre capacità per intervenire in suo favore, spendendo il nostro tempo, perché il denaro più prezioso è il nostro tempo.

Pensate alla gente che va in macchina e magari ha un incidente. Non ci pensa neppure perché deve arrivare in orario dove intende arrivare. E tacita la coscienza e se ne scappa e magari ha messo davvero sotto un uomo. Si arriva a questi eccessi. Dunque quando il cuore non si lascia intenerire, siamo fuori dalla «eleēmosynē».

Sono cose molto delicate, tanto che nessuno di noi può pensare di giudicare o condannare chicchessia per queste cose. Uno può soltanto approfittare della provocazione del Vangelo per guardarsi dentro, per dire a sé stesso se sta giocando, se sta facendo teatro, se crede di cavarsela così con quattro spiccioli. Ma l’«eleēmosynē» non è questo, l’«eleēmosynē» è la carne di Dio che si apre, le viscere di Dio che si aprono. Questa generosità per cui il sole può splendere sui buoni e sui cattivi, la pioggia può cadere sui giusti e sugli ingiusti (cf. Mt 5,45).

È questa indicazione che ci lascia sempre con una spina nel fianco: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Oppure come dice Luca: «Siate misericordiosi – ecco l’«eleēmosynē – come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Significa che non sta a noi entrare nell’altro e giudicare se ci sta ingannando e se davvero mi sta chiedendo una mano. Il rischio di lasciarsi  ingannare c’è sempre. Ma questo è il rischio che corre Dio: si lascia ingannare! Che strano, per noi sarebbe proprio una bestemmia. «No, io non gli do niente perché quello mi sta ingannando». Così ci tranquillizziamo la coscienza.

Non significa che non ci sia l’inganno, ci può essere benissimo, anzi per quello si cerca di intervenire sul piano più obiettivo, sul piano politico, sul piano sociale, perché non ci sia  gente costretta a ingannare. Ci possono essere delle persone talmente maliziose che fanno dell’inganno un mestiere. Ma noi dobbiamo fare di tutto che non ci sia nessuna struttura che favorisca la crescita di questo inganno.

L’«eleēmosynē» dunque è il petto di Dio che si apre, il cuore di Dio che si apre. Dunque preghiera, digiuno, elemosina. È il cammino verso la Pasqua. La Chiesa nonha mai cambiato linguaggio: da duemila anni ci chiede queste tre cose. Solo che ce le chiede come cose vere, come cose che davvero si decidono nella parte più intima della propria persona. E ci mette in guardia. Da una parte, di fronte al rischio dell’idolatria e dall’altra, di fronte al rischio della ipocrisia. Idolatria e ipocrisia, sono i due rischi che purtroppo corre ogni uomo di fede, ogni uomo che intende essere un uomo di fede.

E qui torniamo alla proposta di Gesù, al suo modo di rispondere a queste sollecitazioni. Ritroviamo certamente Maria nella sua immacolatezza, ma ritroviamo anche dei modelli come il vostro San Luigi, che poteva dire di avere «mantenuto la stola battesimale», che può essere ripresa, può essere rindossata, lo sappiamo come: c’è il sacramento della riconciliazione.

Se uno davvero si lascia colpire dalla Parola e decide di volere ricominciare di nuovo come se fosse nato adesso dalle acque battesimali, lo può fare: questa è la bella grande notizia della Pasqua, lo può fare. E non una volta, non sette volte, ma settanta volte sette (cf. Mt 18,22).

E torna di nuovo l’insegnamento di Don Milani. Lui sapete che era di famiglia ebrea e gli chiesero: «ma cosa è che ti ha convinto di più per passare dalla tua fede ebraica alla fede cattolica?». Rispose: «la confessione! Il poter ricominciare di nuovo, il potersi mettere nelle mani di Dio e ricevere, con la certezza della fede, questa possibilità di nascere una seconda volta, grazie al dono della riconciliazione».

È qualcosa di grande. Immaginate che tesoro ci è stato affidato. C’è una indicazione di vita che ci è messa nelle mani. Pensate ad una Quaresima che non si concludesse in questa riconciliazione! Per questo si chiama “precetto pasquale”, anche se chiamandolo precetto hanno rovinato tutto, perché il precetto diventa un dovere, diventa un obbligo, no, è una violenza. Ma riuscire a capire che a noi, tutti gli anni, ma tutte le volte che noi davvero siamo convertiti dentro, possiamo tornare immacolati come Maria… questa è una cosa enorme che ci dovrebbe stupire, farci restare a bocca aperta. Ma è questa la bella notizia della Pasqua.

Quando Gesù appare nel vangelo di Giovanni dice semplicemente una parola: shalom! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi. Perché resteranno non rimessi? Perché non credono nella misericordia, non si fidano di Dio, non si affidano a Dio, non credono che con la Pasqua si possa ricominciare da capo. Allora, chi non crede, è chiaro che non nasce una seconda volta. Si gioca tutto sulla fede.

Credo di aver detto abbastanza cose, potete poi rifletterci per conto vostro. Vi ringrazio di avermi ascoltato.