Un saggio di Timothy Ratcliffe. Immaginazione al potere (nella preghiera)

Articoli home page

Quando le porte dell’immaginazione si schiudono, allora siamo pronti per Dio. Questa espressione, che tante volte ho sentito pronunciare dal grande maestro gesuita Michael Paul Gallagher anche nei miei colloqui spirituali con lui, richiama quella musica di sottofondo che sembra attraversare l’ultimo bel libro di Timothy Radcliffe, già maestro dell’Ordine domenicano, Accendere l’immaginazione. Essere vivi in Dio, edito da Emi (2021, pagine 416, euro 31).

Al cuore del testo, voluminoso ma piacevole alla lettura, c’è una domanda cruciale: «Come può dunque il cristianesimo attirare l’immaginazione dei nostri contemporanei?». Una lunga tradizione spirituale — e basterebbe qui ricordare sant’Ignazio di Loyola — ha cercato di integrare l’immaginazione religiosa nella vita spirituale. Si è sentita spesso l’esigenza di ritornare allo spirito del Vangelo, che non è primariamente una comunicazione di idee, ma una sorgente che vuole dissetarci nel profondo e una luce che vuole donarci altri occhi con cui guardare il mondo. In tante occasioni della sua vita pubblica, infatti, Gesù ci mostra di non essere preoccupato della correttezza formale delle informazioni su Dio, ma di come le persone vedono se stesse e i fratelli, cioè di come immaginano l’esistenza e di quali pesi e ombre impediscono una vita piena. Ecco perché Gesù semplicemente si affianca al cammino dell’uomo, si pone delle domande, interroga il cuore, raccoglie la vita che palpita in immagini quotidiane che invitano a guardare in alto e che aprono il cuore: gli uccelli del cielo, i gigli dei campi, un po’ di farina e di lievito. Così, Egli invita i suoi interlocutori a “immaginare” una nuova relazione con Dio e un nuovo modo di “vedere” il mistero della vita.

Timothy Radcliffe si colloca nella scia di quei pensatori che, senza sfuggire al rigore teologico e biblico, ritiene che nel nostro mondo occidentale e al cuore della crisi della fede c’è un deficit di immaginazione. Si tratta di quella incapacità di “vedere” la fede cristiana come un modo di “essere vivi” e quindi come qualcosa che riguarda tutto ciò che siamo e facciamo e non, invece, come una pratica rituale o un abito esteriore. Il grande nemico della fede, afferma Radcliffe riprendendo il cardinale Newman, non è la ragione, ma l’immaginazione, cioè il modo in cui immaginiamo il mondo e guardiamo alla vita, spesso senza lasciare spazio alla trascendenza. Scrive l’autore: «Gesù aveva un’immaginazione vivace. Le sue parabole fanno presa sulla nostra immaginazione. Le sue parole fanno “ardere il cuore nel petto” (Luca 24,32)».

Radcliffe afferma che nel tempo della globalizzazione della superficialità, in in cui siamo come “polli senz’ali” e la nostra immaginazione è mortificata, il risveglio del senso di Dio è necessariamente «collegato alla liberazione della nostra mente dalla banalizzazione della cultura contemporanea, dalla sua tendenza al riduzionismo e al semplicismo».

Occorre però un annuncio del Vangelo che, mentre mette in contatto il cuore delle persone con l’amore di Dio, non scivola nella banalità e nella finta gentilezza del sentimentalismo; la parola cristiana benedice gli eventi della vita umana ma raggiungendoli al centro delle lotte quotidiane e, quando solleva e guarisce, lo fa senza sminuire, spiritualizzare o annullare il carico di dramma che la vita porta con sé. Una parola che risveglia la nostra immaginazione sulla vita non può essere allora una parola neutra; deve essere parola poetica e profetica, che disturba e sollecita il cuore mentre lo consola. Infatti, «il cristianesimo fa la strana affermazione che una vita pienamente vissuta equivale a intraprendere un viaggio molto rischioso» e, perciò, l’essere vivi, per il cristianesimo, è un fatto “controculturale”. Seguire il Signore – continua l’autore – non è una polizza di assicurazione sulla vita, ma un’avventura rischiosa.

E qui, lungo le pagine del libro, il lettore incontra una precisa diagnosi del problema odierno: le persone del nostro tempo avvertono che la fede non trasmette più questa avventura rischiosa e non è più un modo per immaginare e vivere una vita vibrante e piena di energia: «La fede non consiste più nel partire per una gloriosa avventura. Assume un connotato moralizzante. Vita devota si traduce in obbedienza delle regole. Diventa noiosa». E mentre la gente si allontana e la cultura odierna ci invita al superficialismo individualista, la tentazione è quella di vendere «un cristianesimo piacevole e sicuro», «una fede addomesticata».

Il tema viene sviscerato nelle circa 500 pagine scritte con uno stile caldo e appassionato: l’annuncio della fede deve mirare a risvegliare un’attenzione colma di attesa per quell’infinito dialogo amoroso che è la rivelazione di Dio, stimolando la forza incondizionata nella vita. E se la fede cristiana annuncia un Dio che si fa uno di noi per sentirsi a casa in mezzo ai drammi e alle speranze dell’umanità, che pone la sua casa in mezzo a noi perché ciascuno di noi possa sentirsi a casa con Lui, allora la Chiesa è chiamata a incarnare questa nostalgia profonda di intimità familiare, di calore, di ascolto, di abbracci che ciascuno di noi si porta dentro. Una Chiesa che è la nostra casa è un luogo in cui «non dovremmo subire un interrogatorio su chi siamo e su cos’abbiamo fatto», ma dovremmo invece poterci entrare «con la nostra fede e la nostra mancanza di fede, con il nostro accordo e il nostro dissenso», per imparare una fede che poi ci sospinge oltre le mura della Chiesa stessa, non più rinchiusi nelle antiche pratiche.

Il libro di Radcliffe lo si può leggere, ma si deve soprattutto respirare. Apre il cuore a una nuova immaginazione di una fede possibile e ci consegna una profonda verità che è anche una grande sfida per il nostro oggi: «il cristianesimo farà ardere il cuore delle persone, come fu il caso per i discepoli di Emmaus, solo se queste vi vedranno non un codice morale per metterci in riga, bensì un vibrante stile di vita».