Una infallibilità solo sulla donna? Questioni aperte (di Andrea Grillo)

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Non si deve nascondere che l’esercizio formale della “infallibilità”, come prerogativa papale, ha conosciuto, a partire dal 1854, soltanto due utilizzi formali e diretti, e un terzo impiego, non formale e solo indiretto. Le due forme ufficiali, in cui prima papa Pio IX e poi papa Pio XII si sono avvalsi del “pronunciamento ex cathedra”, riguardano il dogma della Immacolata Concezione di Maria (1854) e quello della Assunzione di Maria (1950). Il terzo caso, che non è tecnicamente esercizio della infallibilità “ex cathedra”, ma che pretende di essere il semplice riconoscimento autorevole e definitivo di una comprensione ecclesiale infallibile, riguarda la “riserva maschile” della ordinazione sacerdotale, su cui il papa GIovanni Paolo II afferma nel 1994 di non avere la facoltà di modificarla, appartenendo alla “divina costituzione della Chiesa”.

Tutti e tre i pronunciamenti hanno per oggetto “donne”: i primi due intervengono nel definire la origine e la fine di Maria di Nazareth, ossia il concepimento senza peccato e la morte riscattata in anima e corpo. Il terzo riguarda, in negativo, tutte le donne, Maria compresa.

La delicatezza della figura femminile, nell’economia della salvezza cristiana e cattolica, risulta straordinariamente confermata dal convergere, sul tema femminile, di tutti i pronunciamenti dotati della massima autorità negli ultimi 170 anni: riguardano appunto le donne. Una donna decisiva come la “madre di Dio”, “immacolata” e “assunta” e tutte le altre donne, escluse dal ministero sacerdotale.

Tuttavia, a ben vedere, non sfugge all’osservatore attento una differenza fondamentale. Mentre le due affermazioni di carattere dogmatico, che identificano un “ verità di fede” in modo formale, sono caratterizzate dal tratto positivo di qualificazione delle peculiarità di Maria nella economia della salvezza, il terzo pronunciamento, proprio a causa del suo carattere “negativo” (come negazione di una facoltà ecclesiale) e per il suo effetto di esclusione (delle donne dalla ordinazione sacerdotale) non ha assunto la forma ufficiale di una definizione ex cathedra, ma è ricorso ad un escamotage piuttosto interessante: il papa Giovanni Paolo II ha affermato che la Chiesa non ha la facoltà di ammettere le donne al ministero sacerdotale. Questa verità non è definita dal papa, ma dichiarata come una “verità di fede” che la Chiesa ha elaborato con sicurezza nel proprio cammino storico.

Questo “escamotage” produce però una situazione paradossale, perché sposta il centro della attenzione dalla dichiarazione del papa alla coscienza della Chiesa, nella quale sarebbe custodita la verità che il papa si sarebbe limitato a costatare. Sarebbe perciò la storia della coscienza ecclesiale, nel suo organico sviluppo, ad aver maturato la evidenza secondo cui al ministero sacerdotale accedono solo i maschi e non le femmine.

Qui, tuttavia, la mancanza di fondamento certo sul piano biblico, dove si trova in positivo la chiamata di uomini maschi, ma non in negativo la esclusione delle donne, crea una condizione precaria alla assunzione di questa “infallibilità” non definita dal papa. Perché la condizione della infallibilità ecclesiale richiede una evidenza che il passato ha avuto, ma il presente non ha più. Perciò, in questa argomentazione minimale, su cui è costruito il testo di Ordinario sacerdotalis del 1994, appare una tensione non risolta tra due dimensioni, tra loro eterogenee:

a) Sarebbe il “fatto” della tradizione della “riserva maschile” a fondare la evidenza di una assenza di autorità in capo alla Chiesa circa la sua possibile estensione della ordinazione alle donne. Ma questo “fatto” è il prodotto di una lettura che la tradizione ha pesantemente accompagnato con riflessioni profondamente segnate da una lettura riduttiva, soggiogata, subordinata della donna; nella chiesa ci sono state tradizioni sane, ma anche tradizioni malate: il discernimento chiede un criterio sistematico, che non può essere solo quello fattuale;

b) La trascrizione “dottrinale”, che identificherebbe la riserva maschile come appartenente alla “divina costituzione della Chiesa”, non assume il valore di un pronunciamente “ex cathedra”, rinviando alla “evidenza della tradizione ecclesiale” quella che il papa semplicemente riconosce, ma non pone. Questa differenza crea una certa difficoltà nel qualificare il livello di autorità del testo, il cui contenuto dottrinale sembra dipendere da una costatazione fattuale tutt’altro che pacifica.

Ma proprio questa duplice livello strutturale di Ordinatio Sacerdotalis mostra il lato scoperto della Lettera Apostolica. Se non vi è modo di dimostrare, sul piano esegetico e sul piano della tradizione, un “fatto” che sia davvero indipendente da interpretazioni profondamente patriarcali e misogine, il rischio (che non si è voluto correre) era quello di impegnare la Chiesa per sempre ed ex cathedra in una lettura non aggiornata della tradizione.

Se avessimo voluto attribuire alla “divina costituzione della Chiesa” la inesistenza della America (dopo la sua scoperta), la centralità della terra nell’universo anche dopo Copernico, o la subordinazione della donna all’uomo nel matrimonio anche dopo il nuovo diritto di famiglia, saremmo rimasti bloccati a nozioni geografiche, astronomiche o familiari elaborate da culture che oggi abbiamo in larga parte superato.

Una esclusione della donna dal ministero ordinato, che si voglia giustificare sulla base della sola tradizione ecclesiale, e che non trova un fondamento biblico indiscutibile, non regge alla mancanza di argomentazioni plausibili. OS, sapendo questo rischio, ha scelto una sorta di “via media”: ha reso assolutamente “dottrinale” la riserva maschile, ma ha accuratamente evitato di spiegarla teologicamente. Ha sperato che, nei decenni successivi, qualche teologo trovasse la forza o l’ingegno di dare figura sistematica convincente a questa “dichiarazione”. Di fatto, tutti i tentativi sono caduti nel vuoto. Così restano in piedi solo due strade:

a) Accontentarsi di una “teologia di autorità”, che però non dice tutta la verità. Perché se diciamo che le donne non possono accedere al ministero sacerdotale “perché lo ha detto il papa”, non diciamo la verità. Il papa rimanda, prima e oltre di sé, alla coscienza ecclesiale, nella quale la domanda non riceve, da decenni, una risposta pacifica.

b) Scoprire che sotto le parole di OS vi sono assunzioni fattuali discutibili e soluzioni dottrinali che dipendono in modo troppo unilaterale da queste ricostruzioni di comodo. Quando Gesù chiama gli apostoli, solo in una lettura troppo orientata possiamo leggere la “libera scelta” di chiamare solo maschi. L’azione di Gesù non è così chiara come vorremmo noi oggi. Gesù ha chiamato uomini galilei, circoncisi e maschi. Ognuna di queste determinazioni (galilei, circoncisi, maschi) ha subito, nelle diverse epoche, interpretazioni diverse. Per porre seriamente la questione della possibile ordinazione di donne al ministero ordinato, si deve restare fedeli al lavoro interpretativo che ha condotto la Chiesa, fin dai primi decenni, nell’interrogarsi se fosse possibile ordinare non galilei, poi non circoncisi e più di recente non maschi. La cultura mediterranea antica o quella universale tardo moderna non possono restare estranee alla meditazione e alla deliberazione ecclesiale. Aver chiuso occhi, bocca e orecchie di fronte a questa evoluzione culturale è il punto debole di OS.

La chiesa può ben deliberare in modo infallibile sul concepimento e sulla morte di Maria. Ma non può deliberare sulla esclusione della donna dalla ordinazione senza assumere, esplicitamente, la trasformazione che la identità femminile ha subito nello sviluppo culturale degli ultimi 200 anni, in larga parte del mondo. Se la Chiesa si chiude nel piccolo orto delle proprie tradizioni di gestione della autorità e pensa che, sulla base di esse, possa continuare ad escludere ogni donna da ogni autorità ministeriale ordinata, rischia di scambiare una dichiarazione di assenza di autorità con una manifestazione di prepotenza. Il che, come è evidente, sarebbe in contraddizione con la sua vocazione.

Infine, se piace a molti compiacersi del fatto che, quando il papa parla, il cattolico deve obbedire a quanto dice, e che perciò sul tema della ordinazione sacerdotale non c’è più nulla di nuovo da dire, allora è chiaro che le idee restano un po’ confuse. Sul tema della ordinazione sacerdotale il papa non si è pronunciato in modo infallibile, ma ha dichiarato come definitiva una coscienza ecclesiale ritenuta infallibile. Ma se il fatto di cui si discute, ossia la riserva maschile, è legato non semplicemente ad una evidenza di fede, ma ad una concezione genealogica, biologica, sociologica e culturale della donna, la pretesa di chiudere il discorso in una semplice evidenza di fede – che assimilerebbe la “riserva maschile” alla “natura divina di Cristo” o alla “presenza reale” dell’eucaristia – sarebbe davvero un esito del tutto sproporzionato e condizionato sul piano emotivo, perciò inadeguato come soluzione plausibile ad una questione seria. Nelle questioni in cui non è in gioco solo la fede, ma anche la cultura, non esiste alcuna competenza indiscutibile né della Chiesa né del papa. Dove si tratta della identità dei soggetti umani, uomini o donne che siano, è proprio la tradizione cristiana e cattolica a scoprire che la “libertà” è parte decisiva della loro identità. Riconoscere anche alle donne la autorità di presiedere nella chiesa è un dato culturale e antropologico che la Chiesa non sa valorizzare, perché non riesce a concepire una “vocazione universale al ministero ordinato”. Perciò, anche in questo ambito, se un papa dicesse che è nero ciò che è bianco, non potrei seguirlo non per motivi di fede, ma per motivi di verità. La donna che “è entrata nella vita pubblica (quae in re publica interest)” da soli due secoli è un “segno dei tempi” che cambia anche la tradizione ecclesiale. Pensare di salvare la chiesa tenendo in piedi una struttura ingiusta della societas inaequalis sarebbe un errore gravissimo. Anche la grande orchestra Filarmonica di Berlino, finché H. Von Karajan era stato il suo direttore, non ammetteva le donne al concorso. Una riserva maschile vigeva come norma indiscussa. Con l’arrivo di Claudio Abbado a Berlino le cose sono cambiate. Anche la chiesa cattolica ha bisogno di entrare nella prospettiva di C. Abbado: non come cedimento alla cultura dominante, ma per non cedere alla nostalgia tossica di identificare la differenza di Dio con la differenza tra maschio e femmina. L’intento di salvare la differenza di Dio con la resistenza ad oltranza sulla riserva maschile, a costo di farla diventare addirittura un “mistero della fede”, è un vicolo cieco. Che non può ostacolare il cammino della sana tradizione.