Suor Simona Brambilla, cominciamo, se ci è permesso, con qualche domanda più personale. Lei è nata a Monza, si è diplomata in infermieristica e, due anni dopo, è entrata tra le Missionarie della Consolata. Ha studiato psicologia alla Pontificia Università Gregoriana, ha vissuto in Mozambico, è stata successivamente docente presso l’Istituto di Psicologia della Gregoriana a Roma, è stata superiora generale del suo Istituto e oggi è segretario del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Chi è suor Simona Brambilla? Da dove viene e dove va?
Simona Brambilla è una creatura; una donna; una peccatrice amata da Dio; una Missionaria della Consolata. Direi che queste sono le caratteristiche essenziali che mi qualificano. Il resto, passa.
Simona viene dalla terra. In due sensi, almeno: sono fatta di terra, terra presa tra le mani tenerissime e forti di Dio e resa viva da e di Lui. Ma sempre terra. E vengo dalla terra, perché la mia è una famiglia tipicamente brianzola, di origine contadina, anche se poi mamma e papà hanno percorso altre strade professionali. Dove va Simona? In Cielo. Eh sì, questa terra va in Cielo, ossia in Dio. Del resto, Dio l’ha già portata in Cielo, la terra umana, nella carne del Figlio. Non ho un’altra meta: vado verso il Cielo, verso quell’Amore intenso, delicatissimo e umilissimo che è Dio stesso, che si offre alle Sue creature. E il Cielo comincia qui, quando la vita di Dio anima e trasforma la terra umana, attirandola a Sé e facendola in qualche modo partecipe della danza dell’Amore. Eccomi allora: creatura, donna, peccatrice amata, Missionaria della Consolata, che viene dalla terra, è fatta di terra e va verso il Cielo.
Pensando al Mozambico, quali aspetti ricorda di più del suo apostolato?
Il dono della missione in Mozambico, precisamente tra il popolo Macua nel nord del Paese, mi ha profondamente trasformato. Porto con me, con profonda gratitudine, tutto il denso vissuto di quegli anni, le relazioni significative che mi hanno toccato e convertito il cuore, la ricchezza della sapienza originaria macua che mi ha aperto orizzonti umani e spirituali nuovi, la reciprocità dell’evangelizzazione, e tanti altri regali che il Signore mi ha concesso attraverso l’incontro con un popolo dall’animo così vibrante, caldo, intenso, sensibile.
La missione è stata ed è per me essenzialmente un dono, un grande dono di Dio. Quando sono entrata tra le Missionarie della Consolata, pensavo che la missione fosse una cosa bella. Ma quando l’ho sperimentata, ho scoperto che era molto, ma molto più bella di quanto pensassi. Arrivai in Mozambico nell’anno 2000. Dopo i primi mesi trascorsi a Maputo studiando la lingua portoghese e dando una mano come infermiera durante la tragedia delle alluvioni che avevano devastato gran parte del Paese, fui destinata a una missione al nord, a Maúa, nella provincia del Niassa, tra la popolazione Macua. Vi rimasi solo due anni, anche se poi continuai a ritornarvi periodicamente per portare avanti, assieme alla gente, una ricerca interdisciplinare sulla evangelizzazione inculturata tra il popolo Macua.
Fu un periodo intensissimo e benedetto. Ebbi la grazia di incontrare lì missionari e missionarie che seppero accogliermi e aiutarmi non solo a inserirmi nell’ambiente, nella cultura e nella pastorale del luogo, ma anche ad aprire la mia anima al senso più profondo della missione. La popolazione di quella zona mi accolse con grande benevolenza, apertura e pazienza. Rimasi senza parole nel constatare la capacità di dialogo, di condivisione della gente, che apriva il cuore a una «straniera», la quale parlava a stento il portoghese, non capiva ancora la lingua macua, era del tutto ignorante della sapienza e della tradizione culturale del popolo e veniva dall’altra parte del mondo.
Lì, piano piano, ho scoperto la missione come scambio di doni, come reciprocità, come cammino di ascolto, apprendimento e riconoscimento non solo dei semi del Verbo, ma anche dei frutti che lo Spirito ha fatto crescere e maturare nell’animo delle persone e del popolo. La missione mi si è rivelata come spazio dialogico nel quale il Vangelo entra in relazione feconda con quanto Dio ha già compiuto in una data persona o cultura, illuminandola, liberandola, portandola a pienezza. Ho compreso più esistenzialmente l’immagine che l’evangelista Luca mette a fuoco, consegnandoci le parole del Signore all’invio dei 72 discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!» (Lc 10,2). Sì, siamo inviati come umili e gioiosi mietitori della messe che Dio ha seminato e fatto crescere e che già biondeggia nel campo del cuore della persona e del popolo (cfr Gv 4,35-38).
Certamente sento ancora nostalgia delle persone che ho incontrato e di tutto ciò che il Mozambico significa per me. Posso ancora sentire nel mio cuore le melodie e i ritmi tipici, gustare i sapori dei cibi caratteristici, respirare i profumi di quella terra, contemplare i colori straordinari della stagione secca e di quella piovosa, dei tramonti e delle albe… e non desidero che questa nostalgia passi. È memoria grata, è palpito del cuore, è respiro dell’anima. È parte di me.
Gli studi di psicologia fino al dottorato che influsso hanno avuto nelle diverse missioni che Le sono state affidate?
Per riprendere l’immagine iniziale, direi che gli studi di psicologia all’Università Gregoriana, integrati dall’accompagnamento personale serio e prolungato che ho ricevuto, fondato sull’antropologia cristiana e attento sia alle dinamiche psichiche sia a quelle spirituali, hanno molto contribuito a lavorare la «terra» di cui sono fatta e ad aprirla al Cielo. Il percorso di crescita non è mai finito. La mia terra mi riserva ancora sorprese, richiede molta vigilanza e assiduo lavoro.
Con gioia riconosco che ho ricevuto tanto, tanto, e mi sento davvero sempre più debitrice verso tutti e tutto! Vivo questo essere debitrice con profonda gratitudine verso Dio e verso tutti e tutte coloro che hanno contribuito e stanno contribuendo a lavorare questa «terra», in diversi modi. Mi sembra che questo cammino di attenzione all’umano mi abbia aiutato ad amare la terra umana, la mia e quella degli altri. Ad accoglierla, con il suo potenziale di vita, di calore, di fecondità, ma anche con le sue aridità, le sue voragini e le sue asperità. A comprendere e sentire che la terra è tanto più fertile quanto più diventa humus, umile, vera, e sta al suo posto, che è in basso. La terra rimanda alla dimensione della profondità, dell’interiorità, della resilienza e della generatività, che hanno sempre a che vedere con il mistero umile e nascosto di un grembo che si apre, accoglie, nutre, fa crescere la vita verso l’alto, verso la Luce. Direi che queste immagini, queste dimensioni vitali mi hanno accompagnato e sostenuto nel vivere la missione, sia in Mozambico, sia come docente, sia nel governo generale, sia oggi in Dicastero.
Parliamo adesso della Sua missione attuale, da segretario del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Ci può descrivere brevemente gli ambiti di competenza di questo Dicastero e le funzioni del segretario?
Come illustrato da papa Francesco nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, il Dicastero si adopera affinché gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica progrediscano nella sequela di Cristo come è proposta dal Vangelo, secondo il carisma proprio nato dallo spirito del fondatore o della fondatrice e le sane tradizioni, perseguano fedelmente le finalità loro proprie e contribuiscano efficacemente all’edificazione della Chiesa e alla sua missione nel mondo. Il Dicastero si occupa poi di promuovere, animare e regolare la prassi dei consigli evangelici; approvare gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, erigerli e concedere la licenza per la validità dell’erezione di quelli di diritto diocesano da parte del vescovo. Sono riservate al Dicastero anche le fusioni, le unioni e le soppressioni, come pure l’approvazione e la regolamentazione di forme di vita consacrata nuove rispetto a quelle già riconosciute dal diritto. La vita eremitica e l’Ordo virginum sono forme di vita consacrata e come tali sono anch’esse accompagnate dal Dicastero, la cui competenza si estende anche ai Terzi ordini e alle associazioni di fedeli che attendono di diventare Istituto di vita consacrata o Società di vita apostolica.
Il segretario svolge un ruolo di coordinamento di varie attività e servizi all’interno del Dicastero, in aiuto al cardinale Prefetto e in collaborazione con i sottosegretari. Sono arrivata qui il 4 dicembre 2023 da «un altro mondo», quello appunto delle Missionarie della Consolata, la mia Congregazione missionaria ad gentes. Non avevo idea di come funzionasse un Dicastero. Mi sento e sono di fatto molto piccola davanti a ciò che questo mandato richiede. Sperimento ogni giorno l’importanza e la bellezza del «lavoro di squadra». Vivo questa esperienza come un apprendistato, alla scuola di molti colleghi che da anni lavorano qui, che mi hanno accolto con squisita benevolenza e cordialità e dai quali ho molto da imparare. E alla scuola delle persone che ogni giorno incontro, sia in presenza sia attraverso i documenti che arrivano in Dicastero e che richiedono serio studio, riflessione, preghiera, discernimento.
Di solito, si dice che a Roma arrivano soprattutto i problemi e le criticità a cui bisogna dare risposta. La vita consacrata, però, è fatta di tante realtà belle e profondamente evangeliche: l’annuncio della Buona Notizia, il servizio ai più poveri, la presenza capillare nella società, l’educazione dei ragazzi e dei giovani, la cura degli anziani e degli ammalati; insomma, tanta generosità, spesso anche nascosta. A Roma arrivano questi racconti?
Certamente, in Dicastero arrivano problematiche, criticità, sofferenze che richiedono sommo rispetto, ascolto, riflessione, preghiera, discernimento, competenze, dedizione e amore per essere accolte, prese in carico, accompagnate. Assieme alle problematiche, e spesso dentro le problematiche, giungono anche speranze, cammini, slanci, luci, testimonianze vibranti di Vangelo vissuto. Durante l’Incontro dei rappresentanti delle varie forme di vita consacrata, svoltosi a Roma dal 1° al 4 febbraio 2024 in preparazione al Giubileo del prossimo anno, abbiamo visto, gustato, sentito, toccato, respirato la bellezza di una vita consacrata pluriforme, policromatica, polifonica, che circola nel mondo, ne percorre le vene profonde, ne abita le ferite, le fratture, le morti, ma anche le rinascite e le risurrezioni.
«Pellegrini di speranza, sulla via della pace» era il tema dell’Incontro organizzato dal Dicastero. Abbiamo camminato, in quei giorni, con circa 300 consacrati e consacrate provenienti da 60 Paesi dei cinque continenti, in ascolto reciproco, nella condivisione, dando spazio alla conversazione nello Spirito, alla riflessione pregata, al lasciare emergere e identificare sia le sofferenze, i nodi, le ferite che la vita consacrata affronta, sia i percorsi di riconciliazione, guarigione, speranza, rinascita che attizzano e rendono fecondo e operativo il desiderio intenso di fraternità, sorellanza e di pace che abita i cuori. I partecipanti all’Incontro sono tornati ai propri Paesi con una sorta di «mandato»: accompagnare la vita consacrata a essere segno di pace, di riconciliazione, di speranza. Una speranza che si radica nella roccia viva dell’Amore di Dio che si è fatto carne, che ha assunto la nostra umanità, che ha preso su di sé le nostre malattie e le nostre sofferenze e che dalle sue piaghe ha fatto scaturire sangue e acqua, rimedio infuocato che scorre ormai nelle vene dell’universo, che cura, ripara, consola, trasfigura le nostre ferite, aprendole alla risurrezione.
Ci vuole suggerire, in particolare, un aspetto della vita consacrata che sia urgente riscoprire, contestualizzare, ri-narrare? Vuole condividere con i nostri lettori qualche esperienza personale?
Credo che un aspetto della vita consacrata che ci farebbe bene riscoprire e ri-narrare sia proprio quello dell’umile, tenace, amorosa e spesso piccolissima e fragile presenza di uomini e donne animati dal Vangelo in contesti di frattura, di scarto, di crisi, di conflitto, di estrema periferia geografica ed esistenziale. Vi sono esperienze di straordinaria bellezza, la bellezza del Vangelo: mitissima e potente, umilissima e audace, gentile e rocciosa. Ne racconterò brevemente solo una, che ho avuto la grazia di conoscere alcuni anni fa.
Nell’aprile 2018, proprio durante la settimana di Pasqua, mi trovavo in Afghanistan, a Kabul, assieme a una mia consorella, in visita alla Comunità intercongregazionale femminile che gestiva una piccola scuola per bimbi diversamente abili, provenienti da fasce sociali disagiate. Il progetto si è dovuto tristemente concludere, con l’arrivo dei talebani a Kabul nell’agosto del 2021. Assieme alle due suore presenti in quel momento, di due Congregazioni e nazionalità diverse, andammo a celebrare la Pasqua nell’unica cappella cattolica esistente in Afghanistan, quella dell’ambasciata italiana, ove risiedeva il Superiore ecclesiastico responsabile della Missio sui iuris in Afghanistan, un religioso. Per raggiungere l’ambasciata dal luogo di periferia dove ci trovavamo, prendemmo un taxi e attraversammo la città. La zona delle ambasciate era fortemente militarizzata. Ma sia i militari afghani sia quelli dei contingenti stranieri conoscevano ormai le sorelle, per cui non trovammo resistenze al nostro passaggio. Arrivate all’ambasciata italiana, incontrammo alcuni militari della vicina base Nato, anche loro giunti lì per partecipare alla Messa. La base era poco distante dall’ambasciata e i militari non avevano da percorrere che poche centinaia di metri per raggiungerla.
Non potei fare a meno di rilevare, con commozione, l’evidente differenza tra l’approccio dei militari e quello delle sorelle, a partire proprio dall’abbigliamento. Ecco i soldati incedere pesantemente bardati, nel rispetto delle regole loro imposte, con la divisa mimetica, il giubbotto anti-proiettile, casco, visiera, grossi stivaloni, cinturone e armi. Ci misero un po’ di tempo prima di liberarsi da alcuni di questi aggeggi ed entrare un po’ più leggeri in cappella. Lì vicino, ecco le sorelle, splendide e fragili donne semplicemente avvolte in tenui tessuti afghani e in un delicato velo islamico, col crocifisso al collo, gelosamente custodito e nascosto sotto l’abito leggero. Mi venne in mente l’immagine di Davide, il ragazzo che, toltasi l’armatura che Saul gli aveva dato per proteggersi nella lotta, procede nudo, libero e armato solamente di ciottoli e fionda verso Golia – il gigante rivestito di corazza ed elmo di bronzo –, confidente non in sé stesso e nelle armi, ma nel suo Dio. Non potrò mai dimenticare il commento di un ufficiale Nato: «Queste due donne, straordinarie, umili e dedicate, fanno per questo popolo infinitamente di più di quanto riusciamo a fare tutti noi militari messi insieme».
Parliamo ora di certe criticità che non mancano. Per esempio, gli Istituti religiosi in diminuzione numerica e di forze, oppure quelli che sono oggetto di visite apostoliche o di commissariamenti per motivi molto diversificati. Ricordiamo, per esempio, le diverse forme di abuso nell’esercizio dell’autorità, gli abusi di coscienza, gli abusi sessuali, oppure i problemi della gestione economica. Come affronta il Dicastero situazioni così difficili?
La vita consacrata è sottoposta senz’altro a tensioni, crisi, sfide, in quanto è una realtà viva, fatta di umanità impastata di terra e di Cielo, con le sue luci e le sue ombre, gli slanci e le cadute, la santità e il peccato, la fragilità e la forza, la fatica e la bellezza di persone chiamate dall’Amore e all’Amore. Non solo in questi primi mesi di servizio in Dicastero, ma già dalle esperienze precedenti ho potuto accorgermi di quanto la crisi, nel suo significato etimologico di scelta, decisione, rappresenti di fatto una chiamata a entrare in un momento forte di discernimento, di conversione, di presa di posizione per il Vangelo, e non per altro.
Nella Lettera apostolica per l’Anno della vita consacrata, papa Francesco scriveva che «la domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole. Gesù, dobbiamo domandarci ancora, è davvero il primo e l’unico amore, come ci siamo prefissi quando abbiamo professato i nostri voti? Soltanto se è tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino, perché avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore».
Da questo appello alla conversione, alla decisa e rinnovata presa di posizione per il Vangelo, al ritorno alla centralità di Gesù Cristo nella nostra vita nasce la necessità del cammino di trasparenza indicato costantemente dal Santo Padre. Che implica il coraggio umile di esporsi alla Luce e di lasciarci da essa attraversare, ferire e purificare, per imparare ad amare «nella verità e nella misericordia». Senza confusioni né compromessi, chiamando «male» ciò che è male e «bene» ciò che è bene, riconoscendo gli errori e ponendo in essere atti e processi di riparazione, di riconciliazione, di ricostruzione. Mi ha molto toccato l’omelia di papa Francesco alla Messa crismale di quest’anno. Il Santo Padre ha parlato della «compunzione», che è la capacità di lasciarsi trafiggere il cuore: «La parola evoca il pungere: la compunzione è “una puntura sul cuore”, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento. […] Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo».
E quali sono le possibilità di intervento da parte del Dicastero?
Come Dicastero, consapevoli della complessità e delicatezza di tante situazioni, cerchiamo di offrire ascolto, attenzione e accompagnamento. In alcuni casi, l’accompagnamento si traduce anche in interventi come quelli che Lei ha menzionato: visite apostoliche, commissariamenti o altre forme di assistenza che sono, appunto, istanze e percorsi di discernimento e di trasformazione, qualora si verificassero situazioni di criticità che richiedono un sostegno e un aiuto da parte della Santa Sede.
Riguardo agli Istituti in diminuzione numerica e di forze, la riflessione è in corso, in dialogo con varie conferenze e unioni dei consacrati e delle consacrate. La riduzione numerica ci stimola a approfondire il senso evangelico della piccolezza e della fragilità, a leggere questo segno in modo sapienziale. La cifra della fragilità segna infatti in modo evidente, oggi, in molti luoghi e contesti, la nostra esperienza di consacrazione e di missione, suscitando non poche volte paura, perplessità, nostalgia dei tempi in cui «eravamo tante/i, giovani e forti».
La diminuzione di forze, l’aumento dell’età media, la crisi economica, la perdita di un’immagine prestigiosa e possente, il ripensamento della missione, a volte la confusione sull’identità e sul senso della vita consacrata costituiscono occasioni critiche e benedette di approfondimento del significato della vocazione e della missione, di ritorno non al passato ma alle origini, al centro umilissimo e infuocato della nostra chiamata.
Sì, la consapevolezza e l’accoglienza della nostra fragilità ci è salutare, ci può guarire e liberare da tante sovrastrutture che ci appesantiscono come persone, come vita consacrata e come Chiesa; ci aiuta a guarire dalle pretese di autosufficienza e a riscoprire la bellezza di camminare insieme, dell’avere bisogno gli uni degli altri. Ci stimola a tornare al Vangelo, a Gesù che invia i suoi come piccoli, umili e deboli agnelli, senza borsa, senza sacca e senza sandali, creature vulnerabili, nude di ogni tipo di arma e di difesa, spoglie di ogni potere e grandiosità e libere di lasciare che l’Amore le abiti e le viva.
Una realtà particolarmente importante è quella delle vocazioni e della formazione. Come si svolge o si dovrebbe svolgere la formazione, in ordine alla maturazione personale, dal punto di vista umano e religioso?
La formazione, in ogni sua tappa, dimensione e modalità, riveste un ruolo cruciale nella crescita integrale delle persone consacrate e, di conseguenza, nello sviluppo di relazioni interpersonali sane ed evangeliche, di comunità e processi sinodali, di cammini di vita consacrata autenticamente animati dal fuoco dell’amore per Cristo e per i fratelli e sorelle. Vorrei qui evidenziare la seria attenzione che meritano il discernimento e l’accompagnamento vocazionale prima dell’ingresso in un Istituto o Società, in modo da verificare nei candidati i requisiti basilari sul piano umano, spirituale, motivazionale. Tale verifica esige tempo prolungato, attenzione ai processi personali e interpersonali, rispetto riverente per la dignità e la libertà della persona, conoscenza dell’ambiente e della cultura del candidato o candidata. Il discernimento continua, una volta che la persona è entrata in un Istituto, attraverso l’accompagnamento personale sistematico e attento, affiancato dall’accompagnamento di gruppo.
La preparazione accurata in ambito spirituale, teologico e professionale ha una sua indiscutibile importanza nel formare una corretta capacità di comprensione, elaborazione, valutazione e giudizio critico. Spesso però le problematiche, le sofferenze e le difficoltà nel vissuto della vita consacrata, nelle relazioni interpersonali, nel rapporto tra autorità e obbedienza e nell’intendere e vivere la sinodalità derivano da qualche tipo di ferita, di vuoto o di debolezza a livelli più profondi, forse mai visitati e tanto meno accolti e integrati. Una formazione che raggiunga e apra alla trasformazione evangelica le aree più profonde della persona è allora indispensabile per una vita consacrata sana, gioiosa, sinodale, evangelica.
Occorre investire decisamente in un serio discernimento e in una accurata formazione integrale, iniziale e permanente, senza permettere che il fascino dei grandi numeri, dell’estensione delle nostre presenze, della grandezza delle nostre opere, della visibilità delle nostre strutture ci rubi la libertà di essere ciò che siamo: semplici segni del Regno, un Regno che Gesù ama esprimere con le immagini umili del minuscolo granello di senapa, del poco lievito nella massa, del tesoro nascosto in un campo.
In Italia e in altri Paesi occidentali vediamo la presenza di molti consacrati, ma soprattutto consacrate, provenienti dall’Asia e dall’Africa, già inseriti nel quotidiano delle comunità e nell’apostolato. Come vede Lei questa «immigrazione»? Quali i rischi, se ce ne sono, e quali le condizioni affinché abbia risultati positivi?
Qui si apre il grosso tema dell’interculturalità nella vita consacrata. Che non riguarda solo consacrati e consacrate che arrivano in Italia da altri Paesi, ma riguarda ogni processo interculturale, in qualsiasi parte del mondo sia vissuto. L’interculturalità è una straordinaria opportunità di vivere e testimoniare il Vangelo. Ma per essere tale occorre che si basi sulla conoscenza, il rispetto e l’accompagnamento delle dinamiche umane in essa implicate, e su una solida spiritualità che ci apra alla fraternità e sorellanza universale secondo il Vangelo, nel superamento di pregiudizi, visioni ristrette, diffidenze e resistenze.
Il contatto col diverso in genere suscita resistenza. Se la resistenza viene riconosciuta, elaborata e aperta al Vangelo, possiamo vivere davvero un’esperienza splendida di liberazione, di dilatazione dell’anima, di scambio profondo, di vera fraternità e sorellanza nel rispetto e nella celebrazione delle differenze, messe in dialogo dall’Amore. Anche qui, una formazione che fin dagli inizi sia attenta alla capacità di aprirsi al diverso, di trasformare certi schemi mentali e affettivi, di coinvolgersi in relazioni sufficientemente libere e sane è di somma importanza per favorire cammini di vera interculturalità evangelica.
Quello di papa Francesco è certamente il pontificato in cui la «questione femminile» ha avuto spazio e sviluppo, e in cui c’è stato un effettivo cambiamento, anche a livello di nomine. E Lei è una delle donne alle quali il Pontefice ha affidato incarichi di responsabilità nella Curia Romana. Siete state nominate perché vi è stata riconosciuta una competenza personale in certe aree. Però, il Papa insiste anche spesso sull’apporto specifico che le donne possono dare alla Chiesa, e alla Curia Romana in particolare. Lei come lo intende, e qual è la sua esperienza da quando, il 7 ottobre 2023, è stata nominata segretario del Dicastero?
Come il Santo Padre aveva preannunciato il 30 novembre 2023, parlando alla Commissione teologica internazionale sulla necessità di «smaschilizzare» la Chiesa, il 4 e 5 dicembre si è svolta la riunione del Consiglio dei cardinali, il cui tema principale è stato proprio quello della dimensione femminile della Chiesa. Credo sia questa una riflessione da continuare e ampliare da parte di tutti e tutte, ma anche da tradurre in una effettiva prassi. Una prassi che passa sicuramente attraverso una maggiore partecipazione delle donne ai vari livelli della vita della Chiesa, ma necessita pure di un approfondimento attento della dimensione femminile della Chiesa e della missione in senso lato: modelli e dinamiche di pensiero, di affetto, di sensibilità, di spiritualità, di azione, di missione che incarnino le due dimensioni vitali del femminile e del maschile e tengano conto dell’interazione necessaria, benefica e benedetta fra esse.
Mi pare che sarebbe riduttivo parlare di una «questione femminile» disgiunta da una «questione maschile». Credo davvero che la pace, per germinare, crescere e maturare nel cuore di ogni persona, fra noi, fra i popoli, nel mondo, nel creato, abbia bisogno della fertilità di un terreno primordiale, di una matrice imprescindibile: la relazione sana, buona, fiduciosa, rispettosa, riverente, tenera e vitale tra uomo e donna.
Sul piano personale, in questo inizio di servizio in Dicastero, sperimento una sorta di orientamento graduale del mio essere a questa nuova missione, davvero diversa rispetto alle esperienze vissute in precedenza. Ho trovato un ambiente accogliente, familiare, benevolo. E questo è un grande aiuto per me. So di avere molto da imparare da tutti e tutte e sento il bisogno di mettermi alla scuola di chi ha molta più esperienza e competenza di me in questo tipo di servizio alla vita consacrata. Confido nell’aiuto e nella preghiera di tutti e tutte. Mi affido alla Vergine Maria, la Madre consolata, la Donna per eccellenza, colei che con somma tenerezza e coraggio, umiltà e passione, mitezza e tenacia sa radunare, unire, consolare i suoi figli e figlie, custodendo e attizzando il fuoco in un cenacolo in cui la vita cresce e ove tutti e tutte si sentono «a casa».
Parliamo, per concludere, del Sinodo. Recentemente, papa Francesco ha chiesto ai Dicasteri di collaborare con la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi nello studio di un insieme di problematiche. A che punto siamo in questo processo e qual è il contributo del Dicastero per la vita consacrata e le Società di vita apostolica al riguardo?
Ben volentieri ci prepariamo ad attuare quanto il Santo Padre ha disposto: «Secondo quanto stabilito dall’art. 33 di Praedicate evangelium, i Dicasteri della Curia Romana collaborino, “secondo le rispettive specifiche competenze, all’attività della Segreteria Generale del Sinodo”, costituendo dei gruppi di studio che avviino, con metodo sinodale, l’approfondimento di alcuni tra i temi emersi nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questi gruppi di studio siano costituiti di comune accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti e la Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento». Secondo la Traccia di lavoro emanata dalla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, 10 tematiche saranno studiate da gruppi interdicasteriali. Noi siamo coinvolti in alcuni di questi gruppi e già sono stati avviati i contatti con altri Dicasteri per coordinare i lavori sulle tematiche di comune competenza.
Siamo sicuri che questi gruppi di studio saranno un’occasione benedetta non solo di approfondimento dei temi previsti, ma anche di sperimentare, gustare, sentire la bellezza e la fecondità del camminare assieme, in ascolto dello Spirito.