Annuncio di liberazione

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Dall’Oriente all’Occidente si odono le grida di liberazione: dei bambini abusati e sfruttati; dei migranti respinti con violenza alle frontiere; dei naufraghi alla deriva in mezzo all’indifferenza; delle donne che subiscono violenza e sono uccise; dei gruppi etnici coinvolti in guerre assurde; dei poveri e scartati lasciati nella miseria; delle vittime dell’integralismo; di chi ha fame e sete di giustizia; del creato ferito mortalmente. Quest’anno il periodo di Avvento comincia con le parole di Gesù che annuncia la liberazione: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

La via del popolo indica il luogo teologico dove Dio preferisce manifestarsi in questo cambio epocale. Non elimina le altre strade, quelle dell’autorità, dei carismi e dei gruppi selezionati per la maggiore perfezione. Le purifica, le ricolloca, trova il loro scopo e il loro servizio in una “Chiesa in uscita”. La via del popolo non teme né la libertà né l’amore. Non è idilliaca, presenta tante difficoltà, ma è salda e sincera in questi due elementi, non s’inganna. Questa strada è percorsa oggi con maggiore chiarezza e decisione dalla Chiesa cattolica, grazie alle esperienze postconciliari maturate soprattutto in America Latina. Papa Francesco la promuove fortemente: il pastore riconosce la necessità di ascoltare il gregge, il popolo, e di seguire anche le sue iniziative.

Soprattutto dai popoli africani verrà il cambiamento epocale della Chiesa e dell’umanità con un apporto importante alla sinodalità. Deorsum sursum, bottom up, les défits du “monde d’en-bas”. Una teologia «dal basso», teologia africana, è quella proposta da Jean-Marc Ela, camerunense, che parte dalle questioni che la gente si pone «rasoterra», davanti alla sofferenza, alle malattie, alle ingiustizie. La sua riflessione iniziò da una domanda di una giovane donna che si chiedeva cosa significasse adorare Dio per le persone in situazione di povertà, siccità, carestia, ingiustizia e oppressione. Che cosa Dio ha da dire a un’Africa che è tenuta fuori dai luoghi dove si decide l’avvenire del mondo? Dio offre la sua liberazione all’Africa, umiliata da sempre dalla maledizione camita, perpetuata anche dai cristiani. Il diritto all’esclusiva sulla Rivelazione cristiana, accampato per secoli dall’Occidente, ha imprigionato Dio in visioni coerenti con la storia e la geografia dei dominatori: «dio degli eserciti», al servizio dei potenti incapaci di capire che «l’egoismo non è un attributo di Dio». Il «Dio che libera» visto dall’Africa è quello del Magnificat: è Lui che sazia gli affamati e manda i potenti a mani vuote. L’altro è un dio negriero. È l’Africa che «libera Dio».

La teologia che ci presenta Ela ha un sapore sinodale, che si nutre della Parola: «La mia riflessione teologica è nata nei villaggi. Precisamente sotto l’albero della palabre, dei colloqui, nelle montagne del nord del Camerun dove, la sera, m’incontravo con i contadini e le contadine per leggere la Bibbia con i nostri occhi africani. La mia teologia non è nata tra quattro mura di cemento. […] Concretamente la mia teologia è partita dalla riscoperta del Dio di cui parla una donna del Nuovo Testamento. Maria canta il Dio che nutre gli affamati e lascia i ricchi a mani vuote. Questo Dio è nello stesso tempo colui che rovescia i potenti dai loro troni». Il ruolo delle donne per la liberazione in Africa è determinante, perché sono meno inclini all’afro-pessimismo, che camuffa in modo ideologico il vecchio razzismo colonialista, per mantenere la dipendenza degli stati africani all’infinito.

Ela rivendica che non si tratta di una versione africana della teologia della liberazione latino-americana: la teologia pensata dagli oppressi per gli oppressi è figlia dell’Africa, dove l’uomo è stato ed è rinnegato nella sua stessa umanità. Solo tra i «dannati della terra», dove il razzismo ha fondato il dominio, dove i popoli hanno lottato contro il saccheggio antropologico, dove ha imperato la blasfemia dell’apartheid, il cristianesimo è stato veramente sfidato a dimostrare la sua credibilità, come messaggio di liberazione.

Non condividiamo pienamente il suo giudizio sulla questione latino-americana, come se là si trattasse di un generico scontro di classe, all’interno di uno stesso sistema, di una storia condivisa con l’occidente, come uno dei conflitti tra i figli di Jafet. Oggi le problematiche dell’America Latina sono più chiare dopo il sinodo sull’Amazzonia, e se ne è capita la complessità, che ha accomunato quelle terre all’esperienza dei popoli africani, soprattutto per la questione ecologica, dello scarto e dello sfruttamento. La storia di umanizzazione e progresso dell’Occidente esclude gli africani, ancora gravati dalla maledizione di Noè a suo figlio Cam. Ma non soltanto loro, come crede Ela. Anzi, per le popolazioni amazzoniche si preferirebbe negare la loro esistenza: non sono comprese nelle discendenze dei tre figli di Noè, Sem, Cam e Jafet (semiti, camiti e giapetiti), non sapremmo bene a chi attribuirle. Sconosciute, non sono state nemmeno maledette, ma addirittura ignorate nella «tavola delle genti», la distribuzione etnografica di Genesi, 10. Questa irrilevanza fa comodo agli oppressori. A noi piace pensare che tutti i popoli non ricompresi nella tavola delle nazioni, siano i discendenti delle figlie «femmine» di Noè, non menzionate nel libro della Genesi, anche loro figlie dello zaddik, il giusto capostipite di tutti i popoli della terra che ha consolato Dio, e che ha ricevuto la sua benedizione: «Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra”» (Genesi, 9, 1-2).

Il modo africano di leggere la Bibbia, secondo Jean-Marc Ela, come in America Latina, è alla luce dell’alleanza del Sinai e della liberazione, che continua le alleanze di Noè e di Abramo e si compie con la nuova alleanza di Gesù Cristo. «L’Africa appare come uno dei luoghi della terra dove la creazione geme in attesa della liberazione». La teologia delle alleanze è una chiave di lettura importante per i nostri tempi, per riproporre la credibilità del Vangelo, attraverso l’amore, la libertà e la fratellanza. Essa mette al centro il rapporto fra Dio e il popolo ed esprime l’aspirazione umana alla liberazione, da Oriente a Occidente. Ci fa comprendere meglio la missione della Chiesa, «il popolo messianico, […] talora un piccolo gregge, [che] costituisce tuttavia per l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza» (Lumen gentium, 9). Ecco perché condividiamo l’invito del teologo africano a sdoganare il termine «liberazione» dal «tabù» e dall’«allergia a questa parola» nel linguaggio della Chiesa, perché diventi davvero sinodale.

di PAOLO SCARAFONI  e FILOMENA RIZZO