Messa in Latino. Ecco le nuove regole dettate da papa Francesco

Articoli home page
Con un Motu proprio il Pontefice stabilisce che siano i vescovi gli unici ad autorizzare le Messe con il Messale del 1962. Tuttavia non in chiese parrocchiali

Il Papa ha stabilito nuove e più stringenti regole per le Messe celebrate con il Messale del 1962. E’ stato pubblicato oggi, venerdì 16 luglio il Motu proprio “Traditionis custodes”, che aggiorna le norme a suo tempo stabilite da Benedetto XVI. Tra le principali novità il ruolo esclusivo del vescovo nell’autorizzare l’uso del Messale precedente alla riforma liturgica del 1970, il divieto di erigere nuove parrocchie personali per questo scopo (e la valutazione, sempre a opera del vescovo diocesano circa l’opportunità di mantenere quelle già esistenti), l’indicazione di scegliere chiese non parrocchiali per queste celebrazioni, la designazione di un sacerdote, esperto nel “vecchio” Messale e fornito di una buona conoscenza del latino, per la cura pastorale di questi gruppi e il divieto di costituirne di nuovi. Le letture devono essere fatte nelle lingue moderne, quindi non in latino.

Le regole

Qui di seguito pubblichiamo le regole contenute nel Motu proprio, emesso dopo un’ampia consultazione svolta dalla Congregazione della Dottrina delle Fede presso i vescovi, nel 2020.

Art. 1. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.
Art. 2. Al vescovo diocesano, quale moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata,[5] spetta regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi.[6] Pertanto, è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica.
Art. 3. Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970:
§ 1. accerti che tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici;
§ 2. indichi, uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica (non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali);
§ 3. stabilisca nel luogo indicato i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962.[7] In queste celebrazioni le letture siano proclamate in lingua vernacola, usando le traduzioni della sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali;
§ 4. nomini, un sacerdote che, come delegato del vescovo, sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli. Il sacerdote sia idoneo a tale incarico, sia competente in ordine all’utilizzo del Missale Romanum antecedente alla riforma del 1970, abbia una conoscenza della lingua latina tale che gli consenta di comprendere pienamente le rubriche e i testi liturgici, sia animato da una viva carità pastorale, e da un senso di comunione ecclesiale. È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli.
§ 5. proceda, nelle parrocchie personali canonicamente erette a beneficio di questi fedeli, a una congrua verifica in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale, e valuti se mantenerle o meno.
§ 6. avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi.
Art. 4. I presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del presente Motu proprio, che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962, devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica.
Art. 5. I presbiteri i quali già celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, richiederanno al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà.
Art. 6. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei passano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Art. 7. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per le materie di loro competenza, eserciteranno l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza di queste disposizioni.
Art. 8. Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate.

Il Motu proprio entrerà in vigore immediatamente a partire dalla sua pubblicazione sull’Osservatore Romano.

Le motivazioni

Qual è la ratio dei cambiamenti introdotti ieri dal Papa in merito alla celebrazione con il messale del 1962? A spiegarlo, in una Lettera inviata a tutti i vescovi del mondo, contemporaneamente alla pubblicazione del motu proprio Traditionis custodes è lo stesso Francesco. Il Pontefice innanzitutto ricorda le ragioni «che avevano mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico». In particolare, come egli stesso sottolinea, «la volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da monsignor Lefebvre».
Tuttavia a 14 anni di distanza dalla pubblicazione del motu proprio di papa Ratzinger, Summorum Pontificum la prassi ha fatto intravedere notevoli criticità. Quella possibilità, scrive il Papa, «è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».
A tal proposito, Francesco, rifacendosi proprio a quanto scrisse a suo tempo Benedetto XVI, si dice addolorato allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. E perciò stigmatizza che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile».
Ma non di meno rattrista il Pontefice «un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”». E invece, ribadisce il Papa «dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa». Vagheggiare la “vera Chiesa” è dunque «un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione – «Io sono di Paolo; io invece sono di Apollo; io sono di Cefa; io sono di Cristo» –, contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo». Per questo Francesco conclude: «Per difendere l’unità del Corpo di Cristo mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962».