“Cinquant’anni di Humanae vitae. Fine di un conflitto. Riscoperta di un messaggio” di Martin M. Lintner

Articoli home page

Nel suo nuovo libro edito da Queriniana lo studioso sudtirolese sottolinea come solo una lettura nel rispetto della coscienza dei coniugi, come quella suggerita da Amoris laetitia, può giungere alla riscoperta del messaggio dell’enciclica di Paolo VI

Che cosa resta oggi, a 50 anni esatti dall’Humanae vitae? Cosa resta delle accese polemiche sviluppatesi all’indomani in merito al testo di Paolo VI? Si può affermare che questo anniversario, come già accaduto con i lavori dei due Sinodi sulla famiglia e soprattutto con la pubblicazione dell’esortazione apostolica post sinodale, rappresenti davvero la «fine di un conflitto»? C’è chi risponde in maniera affermativa come nel caso di Martin M. Lintner nel suo ultimo testo dal titolo “Cinquant’anni di Humanae vitae. Fine di un conflitto. Riscoperta di un messaggio” (Queriniana) dedicato ad una lettura dell’enciclica con il sentire di oggi.

Già autore di “La riscoperta dell’eros” (Edb 2015) dove esaminava il tema della sessualità e delle relazioni umane nella Chiesa, il teologo sudtirolese, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, docente a Bressanone e a Innsbruck, cui molti riconoscono la capacità di ascolto dei vissuti delle persone, è noto per una teologia tutt’altro che astratta e formulata a tavolino: da una parte l’indicazione chiara di una via da percorrere, ma nel contempo la ferma determinazione di andare alla scoperta di quello che considera il (tanto) bene esistente nel riconoscimento dell’impegno di ciascuno.

Una sintonia ideale con la Amoris laetitia di Papa Bergoglio che per Lintner costituisce un autentico «punto di non ritorno» ed è proprio alla luce dell’esortazione apostolica post sinodale che suggerisce una rilettura dell’enciclica Humanae vitae: l’unica via percorribile per comprenderne il messaggio originario. Non ha vissuto in prima persona i dibattiti dei tempi della pubblicazione – lui che si definisce «più giovane di Humanae vitae» essendo nato nel 1972 – ma non sembrano questi l’oggetto del suo interesse, se non a scopo didattico per delinearne la genealogia e le alterne vicende che hanno condotto al documento che, scrive, «a tratti rammentano la trama di un giallo».

La lettura del testo racconta piuttosto di un tentativo (riuscito) di affrontare le questioni più controverse in modo tutt’altro che polemico, mantenendosi per quanto possibile all’oggettività delle affermazioni e dei fatti. In particolare la storia della ricezione dell’Humanae vitae, a partire dalle prime reazioni e prese di posizione delle 38 conferenze episcopali mondiali e dal deciso sostegno di Giovanni Paolo II fino alla constatazione del “sentimento di insoddisfazione” che la pubblicazione del testo aveva suscitato nel teologo Ratzinger confermata nelle totale riservatezza circa la dottrina normativa dell’enciclica emersa nel corso del suo mandato alla guida della Congregazione per la Dottrina della fede.

In quest’ottica di approccio “sereno” e non pregiudiziale colpisce soprattutto la volontà di ampliare l’orizzonte – ben al di là della mera regolazione delle nascite – per recuperare l’autentico messaggio di Humanae vitae in linea con l’esplicito invito di Papa Francesco (AL 82). Uno studio storico-genealogico dell’enciclica (ricco di particolari decisivi per una comprensione del dibattito immediatamente successivo) si conclude con l’affermazione che si tratti di «un punto di svolta e non solo nel pontificato di Paolo VI». Un’attenzione particolare viene infatti dedicata prima al ruolo determinante dell’allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla e al famoso Memorandum (dimostra però come non azzeccata l’ipotesi che ne sia stato il ghostwriter), e quindi alle consultazioni sullo “Schema XIII” che confluirono nella Costituzione pastorale Gaudium et spes con l’aggiunta del capitolo “La dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione” (nn. 47-52).

Pur non rientrando nella preparazione di Humanae vitae, per Lintner queste esercitarono un effetto decisivo ai fini di «una nuova visione del matrimonio e del superamento della dottrina tradizionale sui fini del matrimonio»: matrimonio comunione di vita e d’amore (oltre il “contratto” che stava alla base del CJC 1917) che attribuisce all’amore coniugale una dignità propria che supera lo scopo generativo. Nonostante tutto, sottolinea come non si possa dimenticare che il Concilio aveva tenuta aperta la questione cruciale della valutazione etica dei nuovi metodi per la regolazione delle nascite optando per una sospensione decisionale.

La lettura, quasi didascalica, che segue del testo dell’enciclica contribuisce ad illustrarne i concetti salienti: la totalità dell’amore umano, la paternità responsabile, il rispetto della regolazione della natalità eticamente ordinata. Tra le righe, Lintner nota infatti la preoccupazione per il problema demografico a livello mondiale e, in parallelo, l’ansia per il rischio di un aumento del ricorso all’aborto come mezzo di pianificazione familiare, e non ultima una diminuzione della dignità della donna.

Degna d’interesse, e per certi versi forse meno conosciuta, la «breve storia della ricezione di Humanae vitae»: è innegabile, come a fronte dei lodevoli tentativi di alcuni teologi e cardinali – Marie Rosaire Gagnebet, Perice Felici, Edouard Hamel – di preparare il terreno ad una ricezione positiva, il polverone di critiche che si era sollevato (in particolare per la condanna dei metodi contraccettivi non naturali) impedì una lettura consapevole delle dichiarazioni delle diverse conferenze episcopali. Per fare un esempio, si cita quella italiana che invita a misericordia e bontà, distinguendo tra situazioni differenti e sottolineando per i coniugi la «difficoltà a volte molto seria in cui si trovano, di conciliare le esigenze della paternità responsabile con quelle del loro amore reciproco».

Più espliciti riguardo al giudizio di coscienza le Conferenze episcopali tedesca e austriaca che raccomandano ai coniugi «un coscienzioso esame» e ai sacerdoti di «tener conto della scelta di coscienza responsabile dei fedeli» (i vescovi d’Austria, come anche quelli belgi, sottolineano esplicitamente che «nell’enciclica non è presente un giudizio di fede infallibile» perché «il giudizio sull’opportunità di trasmettere una nuova vita appartiene in ultima istanza agli sposi stessi, che devono decidere dinanzi a Dio»), pur senza dichiararsi verso una generale liceità di ogni mezzo.

Viene anche evidenziata la delusione di numerosi partecipanti al Concilio quando nel testo dell’enciclica le nove citazioni dalla Gaudium et spes (il documento più citato) venivano inserite nel contesto di una tradizione ininterrotta sul matrimonio e la famiglia e non piuttosto come una ben più sostanziale evoluzione dell’insegnamento della Chiesa. «Forse – commenta Lintner – la ricezione unilaterale di Gaudium et spes 48-52 nella Humanae vitae costituisce una delle ragioni per le numerose controversie a tutt’oggi aperte sull’enciclica di Paolo VI»: come dire che la dimensione e profondità degli enunciati di Gaudium et spes siano sì confluiti in essa, ma, inspiegabilmente, senza influenzarla più di tanto.

Serrata l’analisi delle motivazioni a sostegno del rifiuto di ogni forma di controllo delle nascite addotte da Giovanni Paolo II fino al suo discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale del 1988 (dove il cardinale Caffarra espresse l’opinione secondo cui «l’intenzionalità che sottende la contraccezione artificiale sarebbe paragonabile all’atteggiamento di un assassino»). «Non si tratta di una dottrina inventata dall’uomo: essa è stata inscritta dalla mano creatrice di Dio» diceva in quell’occasione il Pontefice parlando in caso contrario di vanificazione della croce di Cristo e di una sbagliata concezione della coscienza: «L’insegnamento della Humanae vitae viene qui elevato espressamente al piano di etica rivelata», commenta Lintner che trova una conferma successiva nell’argomentazione della Veritatis splendor e ricorda altresì come nel corso del suo lungo pontificato l’incondizionato consenso all’Humanae vitae abbia rappresentato uno dei criteri decisivi per la nomina dei vescovi e l’autorizzazione all’insegnamento.

Diverso l’approccio di Ratzinger che non ha mai dedicato particolari attenzioni al tema specifico se non nel capitolo IV della Donum vitae (al contrario della questione circa i divorziati risposati): «Non è la stessa cosa per una persona chiedersi se il proprio agire corrisponda alla categoria di ciò che è naturale o chiedersi se corrisponda alla responsabilità di fronte alle persone alle quali è stata unita dal vincolo del matrimonio, e se corrisponda alla responsabilità di fronte alla parola di Dio». Da una parte la coincidenza riguardo alla validità del contenuto normativo, dall’altra un’innegabile differenza di linguaggio e «la mancanza in Benedetto XVI del rigore normativo e pastorale».

Arrivando all’oggi, già dal questionario preparatorio al Sinodo straordinario tutto appare ricondotto in un alveo più comprensibile alle coppie: dalla formula «sorprendente aperta» della Relazione finale fino all’invito a concentrarsi sul messaggio più che sulla dottrina o la norma che trova il suo culmine nell’esortazione post sinodale. Oggi, conclude il teologo sudtirolese, «non si parla più della “valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità”, quanto piuttosto della “bellezza e dignità del diventare madre o padre”, nonché della “ecologia umana del generare”». Non essendo di fatto più ribadita espressamente la distinzione tra metodi naturali e artificiali di regolazione delle nascite – una distinzione che non solo molti teologi, ma anche i fedeli considerano davvero problematica – questi diventano i soli criteri per una valutazione etica.

La problematica fra norma e coscienza trova argomentazioni definitive sia nella Relazione finale al Sinodo 2015 che nel testo di Amoris laetitia (82 e 222) dove Lintner riconosce che «la concezione della coscienza riveste un’importanza decisiva». Riguardo alla questione della trasmissione della vita e della pianificazione familiare Papa Francesco scrive: «Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi» (AL 222). «Una visione antropologicamente densa e aperta della coscienza morale, dopo che questa era stata un po’ retrocessa in seconda linea in altri documenti del magistero» è la citazione dal collega Antonio Autiero già docente a Münster e direttore del Centro per le Scienze Religiose FBK di Trento. Pace fatta dopo 50 anni? Per Lintner sembrerebbe proprio di sì.

“Cinquant’anni di Humanae vitae. Fine di un conflitto. Riscoperta di un messaggio” di Martin M. Lintner – Queriniana 2018 pag. 176, € 14,00