SALVARE LA PROPRIA LIBERTÀ È UNA TRAGEDIA CONTINUA Lettera di Turoldo a mons. Capovilla (3 marzo 1967)

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Lettera di Turoldo a mons. Capovilla (3 marzo 1967) che ai tempi – a cagione dell’essere un resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale e religioso di ispirazione conciliare – veniva accusato di non essere fedele alla Chiesa:
“Dio sa la mia fedeltà alla Chiesa, alla gerarchia, sa la particolare devozione al Pontefice; e sappiamo tutti cosa costa una vocazione. E che dire di questa stampa, di questa nostra stampa italiana, letta e prediletta soprattutto in certi nostri ambienti romani? Sa i dispiaceri che ho avuto io in passato a causa del Borghese? E certi Monsignori che si muovevano in base ad accuse del Borghese o del Tempo, o altro di simile!
Io sono pronto a patire di più che per il passato, ma per cose nobili, per ragioni che valgono e non per questi atti che spesso non sono neppure testimonianza di amore alla verità e alla Chiesa. Perché amore alla Chiesa vuol dire anche rispetto all’uomo chiunque esso sia: nel nome del Signore. Che, se vogliono sapere, io non mi sono mai trovato bene — nella Chiesa — come ora: e non ho che da lodare Iddio per essere sacerdote nel mio tempo.
Ma non posso rispondere di quanto altri dicono o pensano di me. Invece sono pronto, come sempre ad accettare tutte le correzioni e i richiami che mi vengono dai miei superiori in carità fraterna. E di ciò non ho che da ringraziare il Signore perché così mi aiutano a salvarmi da eventuali errori.
Scrivo, predico, e sono un bersaglio facile: ma sono anche contento di soffrire qualche cosa per la Chiesa. Tanto più quando sono aiutato da una carità e da una amicizia come la sua. Pronto dunque ad altri richiami e sempre disposto a dire grazie”.