La sfida educativa riguarda anche la formazione dei preti. Il tema emerge con forza a ogni scandalo, mentre deve essere ordinariamente all’attenzione di tutta la comunità cristiana, evitando sia la ricerca del ‘capro espiatorio’ sia la logica emergenziale. In questo articolo vorrei offrire qualche spunto dall’esperienza. Cominciando col ricordare, a proposito della formazione dei preti, qualcosa che non è affatto scontato: il Seminario non è l’unica ‘agenzia’ che porta questa responsabilità e la sua opera non può offrire – scusate l’espressione un po’ rude – un ‘prodotto finito’. La cosa che, però, preme sottolineare è che la sfida del discernimento e dell’accompagnamento delle vocazioni al sacerdozio esige una visione sistemica: mentre riguarda fortemente i nostri pastori e i formatori, interpella tutta la comunità cristiana e tutti i preti.
Certo, la formazione del Seminario è importantissima; interrogarsi su cosa «non va abbastanza» (Castellucci) per mettere mano eventualmente anche a riforme strutturali è necessario; ma non dimentichiamo il prima e, soprattutto, il dopo-Seminario. Quanto al prima esso esige un cammino che coinvolga, a monte, anche la pastorale giovanile e che, comunque, favorisca una verifica seria delle condizioni di possibilità per lo sviluppo di «personalità risolute» (Sequeri) in tutti gli ambiti della formazione, specie quella umana e spirituale. In questo senso un anno propedeutico sembra insufficiente. Il calo numerico dei preti e dei seminaristi non deve, poi, condizionare le esigenze di maturità richieste all’ingresso (né per l’ordinazione), mentre questo avviene, di fatto, più di quanto si possa immaginare.
Per quanto riguarda il dopo l’ordinazione, non si può più trascurare la necessità di una formazione permanente seria e organica; questa è ancora troppo confusa con l’aggiornamento, mentre è urgente l’offerta di cammini, luoghi concreti e punti di riferimento significativi per l’ascolto, l’elaborazione e la maturazione delle esperienze di vita, in ogni età della vita e per tutta la vita di un prete. Ci sono dei tentativi al riguardo, ma si fa ancora poco rispetto alle necessità e alle condizioni reali e al disagio diffuso dei preti. Pensiamo, poi, a cosa comporta per un giovane entrare a 18-20 anni in formazione: a 25-27 anni sarà prete e sempre più si troverà a essere molto presto parroco di diverse Parrocchie e con altri incarichi. Non ci si può ipocritamente stracciare le vesti quando il burnout (uno straniamento che rende assenti) fa sentire il suo peso: i preti devono poter ardere, non bruciarsi (Ronzoni)! Un discorso a parte sul prima e sul dopo esigerebbe, poi, la sfida costituita da ingressi di candidati intorno ai 40 anni, come la presenza numerosa di candidati e preti di altre nazionalità.
Per migliorare la qualità della formazione dei futuri presbiteri un punto importante, critico e sottovalutato resta la qualità e la testimonianza concreta dei preti, dei vescovi e dei presbitèri nel loro insieme.
I seminaristi sono sensibili più di quanto si crede al clima generale della vita del clero. Siamo consapevoli della grande responsabilità che abbiamo? Che dire, poi, del fatto che larga parte dei sacerdoti ‘non addetti ai lavori’ conoscono ancora troppo poco i criteri di discernimento e di idoneità proposti dai documenti del magistero così come la vita concreta dei Seminari e dei seminaristi? Mentre anche su questo sarebbe di grande aiuto una condivisione e un confronto costante tra tutti i sacerdoti nelle Diocesi, coinvolgendo i laici e le comunità.
Un altro capitolo dolente è la formazione dei formatori. Alle tante indicazioni magisteriali al riguardo, non è ancora seguita una prassi adeguata. Non si tratta solo di inviare sacerdoti alle Scuole per formatori, ma di curare in tutti i modi la formazione permanente dei formatori. I momenti di confronto concreti e costanti sono una rarità. Nel nostro piccolo, per esempio, sono state di grande utilità alcune esperienze ‘artigianali’ in cui ci si è ritrovati insieme padri spirituali, confessori, rettori, animatori, psicologi: la condivisione di problemi, risorse e buone pratiche, ha costituito un punto di forza importante. Potrebbe essere una delle pratiche della ‘sinodalità’ da moltiplicare?
Un’ultima esigenza mi permetto segnalare ed è quella di integrare nelle equipe formative del Seminario così come della formazione permanente, in modi e forme possibili e opportune, la presenza di laici e laiche, soprattutto con esperienza di famiglia. Perché la presenza di coppie e famiglie deve entrare solo quando si tratta di accompagnare il sacerdote già in crisi?
Ben inteso: non c’è una ricetta che garantisca il ‘successo’ della formazione al presbiterato e nel presbiterato, ma non si può più trascurare la necessità di un dibattito franco, aperto e approfondito facendo tesoro della ‘nuova ratio’, delle esperienze positive, delle nuove spinte, come dei fallimenti e delle criticità per cercare vie nuove, senza fughe solitarie in avanti e senza inopportuni ritardi e chiusure.
Lello Ponticelli (Sacerdote e psicologo)