Il nostro Dio insegna a farci piccoli. Nel tempo della fragilità

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La storia dell’umanità è segnata dal passo della debolezza. Gli eventi che hanno diviso il tempo o che ne hanno cadenzato il calendario sono curiosamente proprio quelli in cui l’umanità si è scoperta fragile. L’11 settembre 2001 ha inferto una ferita ancora aperta sia nella storia mondiale, che nel vissuto di migliaia di famiglie che hanno dovuto soccombere alla violenza inaudita del terrorismo internazionale che trovava una delle sue radici nel fanatismo religioso. La Shoah, nel cuore nero del Novecento, ha cambiato gli eventi a seguire perché mai così tanto orrore fu generato dal degrado umano. Le pestilenze sono state eccidi di massa che hanno colpito il genere umano senza rispetto per nessuno e senza preferenza di genere o classe sociale. Come dimenticarle? Impariamo a esistere dalle nostre miserie. Possiamo rinascere solo dalle nostre macerie.

 

La stessa cronologia, con la numerazione dei secoli, è stata divisa in un prima e un dopo da un bimbo, icona della fragilità esistenziale dell’essere umano. Il Cristo atteso dai popoli e da secoli come il potente, il rivoluzionario, il Re delle genti, non fu altro che un vagito come tanti.

Tutto lo scorrere degli eventi è scandito dalla piccolezza e dalla precarietà dell’uomo. Il genere umano fa più storia con la debolezza che con la forza. Eppure, sembrerebbe l’opposto. L’umanità sembra rincorrere un’autodeterminazione senza confini che mai soddisfa né mai rassicura abbastanza, cercando primati sempre nuovi. L’umanità si scopre repellente alla fragilità ed espelle gli indesiderabili. Troppi figli non programmati o “difettosi” vengono abortiti, tanti anziani scomodi dimenticati nelle cliniche. E ora anche i malati terminali vengono indotti e assistiti al suicidio in nome di una barbarica difesa della libertà di autodeterminarsi, fino a sopprimere il bene primario dell’esistenza umana: la vita, quella propria e quella di chi andrebbe curato negli ultimi istanti del suo esistere. L’autodeterminazione dissennata paga lo scotto di calpestare i più indifesi.

Eppure, dell’uomo forte non resterà nessuna traccia. Neanche un segno rimarrà della prepotenza dell’uomo. Non fa storia il potere che schiaccia miseramente la voce dei più indifesi. Il passo dell’umanità è segnato dalla fragilità della persona, non dalla patetica ostentazione dei suoi bicipiti.

Anche oggi, nel tempo del Covid-19 in cui ancora una volta l’umanità si riscopre vulnerabile e rispolvera la grammatica della debolezza e della cura, della prossimità, dell’appartenenza e della fugacità della vita, si invoca la potenza divina che con un colpo di mano possa cavarci da questa trappola virale. Ormai accade che nelle strade, nei bar, nelle sale di attesa, nei messaggi WhatsApp la gente divida il tempo nel prima e nel dopo Covid. Ancora una volta è la precarietà umana a scandire il tempo. Vorremmo un dio potente che risolvesse questa immane tragedia con uno schiocco di dita. Un deus ex machina che cambiasse l’attuale scena del mondo. Vorremmo uscire da questo incubo e subito dimenticarlo e annaspiamo alla ricerca di qualcuno che sappia giocare con i poteri forti, di chi abbia così tanto peso da essere influente sul corso degli eventi. Eppure, nel tempo della fragilità, un Dio debole ci soccorre. Verrebbe da imprecare: “A cosa giova un Dio debole? Cosa farne di un Dio bambino? Aspettavamo il forte, il migliore, l’Onnipotente… non Tu”. Ma l’umanità fa la storia con il passo dei piccoli e dei fragili. Il Dio bambino sceglie la nostra stessa pelle, veste la nostra medesima miseria.

Non ci toglie dalla storia, neanche quando è scomoda o terribile, ma la vive con noi. Il Dio debole non ci risolve la tragedia che ci ha scaraventato nel lutto e nel pianto, ma piange con noi, veste il nostro stesso lutto, porta addosso il nostro stesso dolore. Dio si fa presente per la via della debolezza. È dentro la nostra storia, dentro le nostre stesse viscere perché, come noi, nato da donna e dal seno di Dio. Il Dio piccolo non pretende i nostri meriti, ma ama i nostri limiti. Non ci poteva capitare soccorso migliore, del Dio peggiore con i peggiori, invisibile con gli invisibili. Dio strappa i cieli e fa incursione nella storia con un vagito e ancora una volta la debolezza scandisce il nostro tempo.

In questa già lunga e apra stagione, mentre attraversiamo il confine tra due anni, ricordiamoci che farsi piccoli con i piccoli ci rende più simili al Dio debole e Onnipotente.

Luca Russo