In principio il cinema era in bianco e nero e senza parole, poi è arrivato il technicolor e il suono, gli effetti speciali, poi il format delle serie e ora… Antonio Spadaro ha inventato il cinema solo parlato. O meglio, solo scritto. Senza immagini. Eppure con tante immagini. Per certi versi un cinema ancora più “potente” perché lascia al lettore la possibilità di liberare la propria fantasia nel vedere e realizzare la scena. Questa è la cifra stilistica che lo scrittore gesuita padroneggia con sapienza e abilità fin dal “prequel” Una trama divina, dell’anno scorso. E che replica in questo suo nuovo lavoro, Gesù in cinque sensi. Un racconto di carne e ossa (Marsilio Editori, Venezia, 2024, pagine 256, euro 18), da qualche giorno in libreria, con l’acuta prefazione di Liliana Cavani, una regista cinematografica appunto, che presentando il saggio parla di “cinema della parola”. Questo “cinema parlato” non sta a indicare semplicemente un copione, una sceneggiatura. Non sarebbe una novità. Spadaro piuttosto si pone (e ci pone) direttamente con l’occhio dietro una possibile cinepresa, donandoci uno sguardo in presa diretta che ci rende non solo spettatori ma partecipi dell’avvenimento. Partecipi nell’esercizio dei nostri sensi, così come Gesù ci si rivela anch’egli attraverso i suoi sensi.
La lettura attira un’adesione attiva alla scena tanto da suscitare in alcuni passaggi perfino una nostra possibile irruzione, un desiderio di partecipazione, magari di interlocuzione diretta con Gesù. Lo fa in vece nostra Antonio Spadaro che spesso interrompe lo svolgimento della scena ponendo(si) una domanda: “perché Gesù dice questo?” o “perché non risponde?” e “gli apostoli perché reagiscono così?”. Sono domande che non richiedono una risposta, una spiegazione, non smuovono l’esegesi e tanto meno un’ermeneutica, ma sono semplicemente delle “zoomate” che l’operatore dietro la macchina da presa centra su un dettaglio, un particolare apparentemente infimo, e che invece svela un contesto di svolgimento della scena che ha catturato l’occhio o l’orecchio, o un altro senso, senza che ne fossimo immediatamente consapevoli.
Un libro dunque che si vede e si sente prima ancora che si legga. Così come è, o dovrebbe d’altronde essere, l’approccio giusto con il Vangelo. Nell’introduzione Spadaro si interroga su come questo diverso e sensoriale approccio a Gesù ne modifichi la percezione generalmente diffusa. E lo fa condividendo le parole con cui Papa Francesco, nell’introduzione del precedente libro Una trama divina, aveva pennellato la figura del Messia: «Per i suoi contemporanei Gesù sarebbe potuto rientrare nel paradigma dell’inadaptato, della persona che non si adatta, disadattata, che non si conforma a ciò che è ovvio». Cosa d’altronde poteva dirsi — ha spesso rilevato nei suoi lavori Romano Penna — di uno che ha demolito alla religiosità del suo tempo i concetti di sacrificio, di tempio, di rito, di sacerdozio? Come pure alla socialità del suo tempo i concetti di giustizia, di prossimità, di amicizia, di amore? Un disadattato, che invariabilmente crea disagio e inquietudine a chi gli sta intorno. L’incontro con Gesù non è mai una comfort zone. Ieri come oggi. Gesù non propone felicità ma pienezza. E questo è forse l’equivoco maggiore su cui ancora oggi cade la pratica ecclesiale.
Non sappiamo se Spadaro intendesse cimentarsi soltanto in una nuova visione artistica del personaggio di Gesù, ma il risultato è piuttosto quello di un contributo prezioso anche alla riflessione cristologica. Perché l’esperienza dell’intimità sensoriale con il Cristo che ci propone rivela più genuinamente la centralità soteriologica dell’Incarnazione. Riequilibra nel polo della piena umanità quella natura teandrica per secoli sbilanciata sull’aspetto della divinità. Antonio Spadaro nell’introduzione rivela come di questi “quadri” del suo libro Martin Scorsese abbia immaginato una possibile trasposizione cinematografica. Ma da questi “quadri” , dall’esperienza sensoriale che suscitano, è possibile anche ricostruire un’immagine viva e intima di Gesù che può risultare da base per un ripensamento e una riproposizione attuale del cristianesimo, per credenti e non credenti. Una frequente espressione “ecclesialese” dice che «la fede non è un’adesione mentale ma un incontro con una persona viva». Va dato merito a padre Spadaro di averci proposto questo incontro nel più vivo dei modi: attraverso l’esperienza dei sensi.
di ROBERTO CETERA