I 60 anni della Nostra aetate, l’urgenza del dialogo fra fedi e popoli

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Ripercorriamo con l’arcivescovo Flavio Pace la dichiarazione del Concilio che ha riscritto i rapporti fra la Chiesa cattolica e le altre religioni: dal rigetto all’incontro. Martedì l’evento celebrativo col Papa.
Dal rigetto all’incontro. Dal sospetto al rispetto. Dalla diffidenza alla riconciliazione. Sessant’anni fa veniva pubblicata Nostra aetate, la dichiarazione conciliare che ha riscritto i rapporti della Chiesa cattolica con le altre religioni, nelle quali la comunità ecclesiale nulla più respinge di «quanto è vero e santo», si legge nel testo. Dall’ebraismo all’islam, passando per l’induismo o il buddismo. «Una svolta epocale. E un documento di cui resta intatta la profezia in un tempo complesso come quello attuale. Perché invita a un’autentica fraternità universale fra i popoli e fra i credenti che non è annullamento delle differenze, ma cammino verso quell’armonia suscitata dallo Spirito», spiega l’arcivescovo Flavio Pace. Segretario del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, è il vice-presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo voluta da Paolo VI, il Papa che lega il suo nome a Nostra aetate.
Ed è l’organismo in seno al Dicastero di cui Pace fa parte che, con il Dicastero per il dialogo interreligioso, organizza l’evento vaticano per celebrare l’anniversario della dichiarazione scaturita dal Vaticano II. Un appuntamento internazionale alla presenza di Leone XIV in programma nell’Aula Paolo VI martedì prossimo, 28 ottobre, giorno in cui nel 1965 Montini firmava il documento. Due ore di incontro, dalle 18.30, che «vedranno la partecipazione di rappresentanti delle diverse religioni mondiali provenienti anche da contesti geografici differenti», sottolinea l’arcivescovo Pace. Durante la serata sarà esposto il testo originale con la firma di Paolo VI. «Poi sono previste alcune testimonianze. Quindi l’intervento del Papa. E infine un gesto che vuole essere una promessa di futuro: la consegna dei semi donati dal Borgo Laudato si’ di Castel Gandolfo che, da una parte, sono richiamo a riscoprire le radici di quel sentimento religioso che è trasversale all’intera umanità; e, dall’altra, diventano impegno a portare frutto insieme». Il giorno dopo, l’udienza generale sarà interamente dedicata alla dichiarazione conciliare.
Eccellenza, Nostra aetate è un testo rivoluzionario anzitutto sul versante dell’ebraismo. Perché?
Il Documento è nato proprio guardando al rapporto della Chiesa cattolica con il popolo e la religione ebraica. Pioniere era stato il cardinale Agostino Bea. Il Concilio aveva scelto di rileggere la storia della comunità ecclesiale tenendo conto dell’orrore della Shoah. Un “mysterium iniquitatis” che ha contribuito a un cambio di prospettiva nel rapporto ebraico-cristiano condizionato per secoli da pregiudizi e da interpretazioni bibliche e teologiche fuorvianti. Se negli anni del Vaticano II l’Europa cattolica si sentiva in dovere di rivedere il rapporto con l’ebraismo dopo ciò che era avvenuto durante la seconda Guerra mondiale, le tensioni legate ai primi passi dello Stato d’Israele nel contesto mediorientale spinsero a un discernimento più approfondito che consentì di ampliare il documento anche alle altre religioni.
Che cosa segna oggi il barometro delle relazioni fra Chiesa cattolica ed ebraismo? Alcuni parlano di un sensibile raffreddamento con la guerra a Gaza.
L’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Yaron Sideman, suggerisce di fare dell’anniversario di Nostra aetate un’occasione di riavvicinamento. Condivide l’idea?
La lettera inviata da papa Leone subito dopo la sua elezione non solo al rabbino capo di Roma ma anche ai leader ebraici internazionali è stata accolta con grande entusiasmo. Le sue parole, semplici ma chiare, sull’eredità di Nostra aetate hanno toccato molti. La dichiarazione conciliare ha rimosso qualsiasi alibi a chi poteva sentirsi legittimato nel pensare l’ebreo come nemico, secondo assurde teorie del passato. D’altro canto, la legittimità dell’esistenza dello Stato di Israele è stata riconosciuta dalla Santa Sede, come dimostrano anche i rapporti diplomatici che con lo stesso Israele sono stati stretti. Al contempo la Santa Sede ha riconosciuto la Palestina e con essa ha relazioni diplomatiche.
Come per ogni testo del magistero, anche per Nostra aetate è centrale la ricezione che non è semplicemente un’operazione intellettuale, ma di sedimentazione dei contenuti che sono chiamati a entrare nel vissuto delle comunità.Nostra aetate ci chiede di riscoprire le radici dell’ebreo Gesù come radici della promessa di Dio ad Abramo che si compie. E ci ricorda, come sottolinea la Lettera ai Romani, che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Purtroppo l’antisemitismo è un veleno che torna a diffondersi. Non possiamo restare ciechi. Le obiezioni alle politiche dello Stato d’Israele non possono mai sfociare in atti o parole contro il popolo dell’Alleanza e contro la sua tradizione religiosa. Ciò mi fa affermare che quanto accaduto nella sinagoga di Manchester, in Gran Bretagna, non ha nulla a che vedere con la critica a un governo: è l’uccisione di un uomo in quanto di fede ebraica. Fede di cui anche noi siamo figli. Perché, diceva Pio XI, spiritualmente siamo tutti semiti. Un cristiano che ignora l’ebraismo rischia di vivere una fede decapitata.
Quanto la Scrittura è terreno d’incontro fra Chiesa cattolica e mondo ebraico?
C’è poi il capitolo islam. Da Nostra aetate al Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi.
Il Documento che ormai prende il nome dalla capitale degli Emirati Arabi Uniti dove è stato firmato nel 2019 da papa Francesco e dal grande imam di al-Azhar, il sunnita Ahmad al-Tayyeb, testimonia che i passi in avanti scaturiti dalla dichiarazione conciliare non hanno interessato soltanto l’ebraismo ma anche il rapporto con l’islam. Il testo sulla “fratellanza umana”, espressione già contenuta in Nostra aetate, è una pietra miliare che segue appunto la dichiarazione del Vaticano II. Ma deve portare ulteriori frutti. Qualcuno ha messo in luce che il Documento di Abu Dhabi coinvolge soltanto l’islam sunnita. A parte l’incontro di papa Francesco con Ali al-Sistani durante il suo viaggio apostolico in Iraq, c’è ancora da portare avanti, come spesso ricorda il cardinale Louis Sako, il dialogo con il mondo sciita. Il dialogo non può essere intessuto soltanto con l’interlocutore che più ci aggrada e deve andare al di là delle coloriture politiche. Inoltre non può essere solo accademico, ma deve coinvolgere le comunità locali che magari sperimentano in prima istanza la difficoltà dell’incontro.
Papa Leone ha ribadito che le religioni non vanno «usate come armi o muri» ma «vissute come ponti».
Leone XIV è figlio di sant’Agostino secondo cui la radice di ogni dialogo si trova nel cuore umano. Lo Spirito non chiude mai all’incontro e fa trovare i segni di Dio anche nell’altro che può apparire distante. Laddove l’elemento religioso diventa bandiera ideologica, esso perde il contatto con il cuore dell’uomo che è il luogo dove il divino si manifesta.
Nostra aetate è un invito alla pace?