Il frutto vero della configurazione piena a Cristo è l’agape. Per comprenderlo in profondità ci lasciamo accompagnare da uno dei più bei brani del NT: l’inno alla carità (di Giuseppe Forlai)

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Il frutto vero della configurazione piena a Cristo è l’agape. Per comprenderlo in profondità ci lasciamo accompagnare da uno dei più bei brani del NT: l’inno alla carità scritto da Paolo di Tarso per i corinti (1Cor 13). Per Don Alberione esso è il «codice» che il paolino e ogni cristiano riceve dall’Apostolo. Non commentiamo tutto il testo. Nell’ottica della cristificazione interessa solo sottolineare il suo legame con il «Cristo vive in me». Se l’apice del cammino è la vita in Cristo e la perfezione del credente consiste nell’Amore, allora si deve dire che apice e perfezione si incontrano nel seguente punto focale: la carità con tutte le sue caratteristiche elencate da Paolo è lo stesso Signore che abitandomi ama così! Inabitazione e carità coincidono: «Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12).

L’inno alla carità è allora l’icona di come il Maestro ama, e al contempo la carta d’identità di chi sta vivendo la cristificazione.

  • La carità è magnanima e benevola come Cristo che «passò facendo del bene» (cfr. At 10,38).
  • Non è invidiosa come Gesù che non tolse nulla a nessuno perché ricolmato di ogni bene dal Padre (cfr. Mt 11,27).
  • La carità non si vanta e non si gonfia, come il Verbo che «non considerò un tesoro geloso l’essere uguale a Dio» (cfr. Fil 2,6).
  • Non manca di rispetto, come il Maestro che fissa con amore e si china con riguardo sui malati che hanno bisogno del medico (cfr. Mc 2,17; 10,21).
  • La carità non cerca né il suo interesse, né ciò che gli spetterebbe, come Gesù che pur essendo Signore ci ha lavato i piedi (cfr. Gv 13,13-14).
  • Non si adira e non tiene conto del male ricevuto ma anzi, come Agnello mansueto perdona i suoi persecutori «perché non sanno quello che fanno» (cfr. Lc 23,34).
  • La carità non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità, come Gesù che non si è lasciato ingannare dalla malizia degli uomini, ma tutto comunicava con schiettezza (cfr. Lc 20,21).
  • Tutto scusa, crede, spera, sopporta, come il Cristo durante la sua passione (cfr. Lc 22,38).
  • La carità non avrà mai fine, come il Signore che rimane con noi fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20).

Salire verso la perfezione dell’amore è dunque lasciare che lo Spirito formi in noi il Cristo amante, la carità fatta carne. Concludiamo, allora, questa tappa del cammino con quella che potremmo chiamare la Scala Amoris di Don Alberione, contenuta in uno dei suoi brani più profondi e riassuntivi del suo metodo pedagogico (cfr. DF 25-26).

Si sale sul sentiero della carità mettendo i piedi ognuno su due ordini di «orme» parallele: le orme della «perfetta scienza» e quello del «puro amore»: «Sulla terra tanto più si conseguisce quanto più è perfetta la scienza e l’amor di Dio» (DF 25).