Per compromettersi con Cristo non bisogna fare qualcosa di particolare, di stravagante, ma semplicemente decidere di abbandonarsi, lasciare vivere e favorire lo sviluppo della grazia che forma Cristo in noi (cfr. Gal 4,19).

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Per compromettersi con Cristo non bisogna fare qualcosa di particolare, di stravagante, di nuovo, ma semplicemente decidere di dare libero corso alla vita che lo Spirito ha messo dentro di noi nel giorno del battesimo. In questo senso <<compromettersi>> significa semplicemente decidere di abbandonarsi, lasciare vivere e favorire lo sviluppo della grazia che forma Cristo in noi (cfr. Gal 4,19). Per fare luce su questa verità vorrei provare a fare sintesi attraverso la risposta a tre domande: Chi vive in noi? Quando? Come?

Cosa vuol dire? Con la morte il Signore ha preso su di sé le nostre colpe, come il Servo sofferente profetizzato da Isaia (cfr. Is 53); quelle colpe, che si interponevano come un muro invalicabile tra noi e Dio, sono state abbattute. Ma questo non poteva bastare: togliere il peccato non rende migliori ma crea solo lo spazio esistenziale per peccare nuovamente. Invece, risorgendo dai morti, Cristo ci ha aperto le porte di quella vita nuova che ci rende amabili – per pura grazia – agli occhi del Padre. Non bastava che il muro fosse abbattuto, bisognava anche che Dio, tolto l’ostacolo, ci riconoscesse come suoi figli prediletti. La morte di Gesù toglie le croste del peccato, la sua risurrezione ci rende amabili; la prima è la mano che ci strappa di dosso gli stracci, la seconda è quella che ci lava con acqua calda e profumata. Come avvenne al figliol prodigo della parabola lucana, la morte di Gesù ci consegna all’abbraccio del Padre, la sua risurrezione ci riveste dell’abito della festa (cfr. Lc 15,19-24).

Il battesimo è un rito unico che produce due effetti: assoluzione e partecipazione. Il primo effetto è operato dalla morte di Gesù con la quale l’uomo vecchio viene crocifisso e sepolto; slegati (assolti!) dalla sua tirannia possiamo partecipare già da ora alla vita del Risorto che inizia così a circolare in noi. In questa partecipazione istantanea alla risurrezione sta forse la vera genialità mistica di Paolo. Per l’Apostolo noi non solo saremo associati al Risorto dopo la morte – quando sperimenteremo definitivamente la «potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10) – ma fin d’ora partecipiamo della sua vita senza fine. Come è possibile ciò? Come è possibile che un uomo che ancora vive in un corpo terrestre e carnale sia in comunione con il Cristo che invece vive in un corpo di gloria? La risposta di Paolo è nota: attraverso lo Spirito. Vedremo meglio nel prossimo paragrafo le conseguenze sperimentabili di questa verità di fede. Per ora tentiamo una sintesi schematica di quanto detto:

  • Comunione con Gesù morto e sepolto = immersione nell’acqua: morte dell’uomo vecchio <<assoluzione>> dai peccati.
  • Comunione con Gesù risorto dai morti = emersione dall’acqua: nascita dell’uomo nuovo <<partecipazione>> alla vita del Risorto.

Come? Attraverso il rito del battesimo siamo «assorbiti in Cristo» (G. Alberione). Per usare le espressioni stesse di Paolo – molto forti – dovremmo dire che siamo con-crocifissi (cfr. Rm 6,6) e con-risorti (cfr. Col 2,12) con lui. Questo «con» non si limita all’evento del battesimo ma, essendo un processo dinamico, si estende a tutta la nostra esistenza vissuta all’insegna della fede, il cui scopo dichiarato è uno solo: «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11). Si noti la bellezza della sequenza che viene deliberatamente invertita: prima la risurrezione poi la morte, non viceversa.

Dobbiamo però essere onesti. Ed esserlo significa non eludere la domanda che il lettore a questo punto avrà a fior di labbra: anche se sono stato battezzato, come mai percepisco poco o nulla della vita del Risorto in me? A interrogativo onesto deve seguire risposta altrettanto onesta: noi non sperimentiamo la forza della risurrezione perché <<rianimiamo>> continuamente l’uomo vecchio. Questa è l’opinione di Paolo. Non viviamo davvero perché non vogliamo morire davvero. Nei confronti della morte terrena siamo magari propensi a sostenere l’eutanasia, ma davanti alla morte spirituale siamo tacitamente tutti per l’accanimento terapeutico. Invece in quest’ultimo ambito bisognerebbe essere favorevoli all’eutanasia dell’uomo vecchio! L’Apostolo era stato chiaro con i romani: a seguito del battesimo «anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Ma essa rimane una possibilità, non un automatismo.

Bisogna che ci fidiamo di Dio e ci lasciamo con-crocifiggere con Cristo. Nella realtà, non nei propositi. «Fa’ male… ma fa’ bene!», diceva il mio maestro di noviziato per incitarci a fare cose difficili.

Compromettersi con Cristo e con la sua umanità trova il punto d’avvio nel battesimo. Ma, non dimentichiamolo, tutto ciò può avere inizio solo perché il Signore lo ha deciso e voluto. Possiamo comprometterci solamente perché è lui che lo vuole: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Parole che suonano come un monito perpetuo a tutti coloro che – e non sono pochi soprattutto nei seminari – si sono chiamati da soli al servizio della chiesa di Cristo, ma anche ai chiamati autentici perché non si sentano mai <<gestori>> di quello che hanno ricevuto.