IL VERO SENSO DEL BATTESIMO, CON BUONA PACE DI SANREMO (don Pino Lorizio)

Articoli home page

Dopo le polemiche suscitate da Achille Lauro, l’intervento del teologo don Pino Lorizio, della Pontificia Università Laternanense: «I sacramenti nessuno può darseli da sé, ma vanno celebrati e vissuti nella comunità credente. Vigiliamo però affinchè anche nelle nostre parrocchie il gesto non perda il valore originario e diventi uno stanco rito sociale. Piuttosto che gridare allo scandalo e stracciarci le vesti per lo scempio cui assistiamo, interroghiamoci sulla genesi di questa pseudo-cultura»

Ogni occasione può essere colta dal credente per riscoprire le sue radici, denunciarne la perdita e riconciliarsi con la propria tradizione, così come fa il card. Ravasi offrendoci la chiave di lettura del primo dei sacramenti, definito il dono più prezioso che ci sia concesso di ricevere. Una riflessione e qualche domanda si impongono a partire da quanto rappresentato ieri sera sui nostri schermi.

Un apocrifo del II secolo, intitolato Atti di Paolo e Tecla ci propone una scena nella quale, la protagonista prima di subire il martirio, si battezza: «Introdussero allora molte fiere, ma lei stava sempre in piedi con le mani stese in preghiera. Ma quand’ebbe finito la preghiera, si voltò, vide una grande fossa piena d’acqua e disse: “Ora è tempo ch’io mi lavi”; e vi si gettò dentro con le parole: “Nel nome di Gesù Cristo io mi battezzo nell’ultimo giorno”. A questa vista le donne e tutta la moltitudine esclamarono: “Non ti gettare nell’acqua!”. Tanto che anche il governatore versava lacrime al pensiero che tanta bellezza fosse divorata dalle foche. Essa, dunque, si gettò in acqua nel nome di Gesù Cristo e le foche, alla vista dello splendore di un lampo, galleggiarono morte alla superficie. Attorno a lei si stese una nube di fuoco, tanto che né le fiere potevano toccarla, né poteva essere mirata la sua nudità». L’ultima annotazione la dice lunga sulla spettacolarizzazione del nudo cui assistiamo non solo in questa occasione. Si tratta di un testo non riconosciuto ispirato dalla Chiesa, ma che, in questa circostanza ci suggerisce qualche elemento di riflessione.

Fermo restando che i sacramenti nessuno può darseli da sé, ma vanno celebrati e vissuti nella comunità credente, bisogna anche pensarli e viverli nel rapporto gesto/parola, che costituisce la grammatica della rivelazione cristiana. Nel testo cristiano apocrifo la protagonista accompagna il gesto con la preghiera e con una chiara ed esplicita professione di fede, dalla quale non si possono scindere i sacramenti. Ancor di più, ella sta per affrontare il martirio, ossia per dare testimonianza del proprio credo fino alla morte. Il suo sarà quindi un battesimo di sangue, anche se nel testo si dice che venne risparmiata. Fede e testimonianza costituiscono l’orizzonte della nostra vita sacramentale. Se i gesti vengono separati da questo contesto diventano impropri, se non blasfemi. Ma da dove nasce questa discrasia?

Siamo così sicuri che in ambito cristiano (in particolare cattolico) questa estrapolazione dei segni/gesti sacramentali dal loro contesto proprio che sono la fede e la testimonianza (martyria) non si verifichi? Lo sa molto bene chi, nelle frontiere parrocchiali, deve affrontare esasperanti battaglie per far comprendere la necessità di un’adeguata preparazione alla celebrazione dei sacramenti nei confronti di quanti li richiedono per mera consuetudine familiare o sociale. In fondo, in queste rappresentazioni nazional-popolari raccogliamo i frutti di questa separazione. Piuttosto che gridare allo scandalo e stracciarci le vesti per lo scempio cui assistiamo, dovremmo interrogarci sulla genesi di questa pseudo-cultura, sulla nostra appartenenza credente e non agitarla come un vessillo per scagliarci contro chiunque non manifesti una partecipazione formale alla vita cristiana