«La crisi del cristianesimo? Un’occasione da non sprecare». L’intervista al saggista e teologo Brunetto Salvarani

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La crisi del cristianesimo occidentale e le questioni che, al riguardo, è prioritario affrontare: sono questi i temi della riflessione proposta in questo dialogo con catt.ch e Catholica dal professor Brunetto Salvarani, teologo, scrittore, docente di Teologia della missione e del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e gli Istituti di scienze religiose di Modena, Bologna e Rimini. La sua ultima pubblicazione si intitola «Senza Chiesa e senza Dio» (Laterza).

Come descriverebbe la stagione che sta attualmente vivendo il cristianesimo?

«Come ripete papa Francesco, non stiamo vivendo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca. E ciò coinvolge anche il cristianesimo che, in Europa e più in generale in Occidente, sta attraversando una stagione di crisi; lo documentano alcuni indicatori: il calo del numero di fedeli e delle vocazioni religiose, il crescente disinteresse verso liturgia e sacramenti, la crisi dell’editoria cattolica, gli scandali finanziari e sessuali. Ma la questione che rende il quadro davvero problematico è la fatica della trasmissione della fede da una generazione all’altra. Certo, la fede resta un dono, ma oggi sembra diventato molto arduo accendere interesse verso le cose di Dio e disporre i cuori all’accoglienza di questo dono. Si badi: la crisi non è una questione di numeri. Tanti giovani sono diventati indifferenti a Dio e pensano che la Chiesa non abbia niente di interessante da comunicare. Indubbiamente esiste anche un problema di linguaggio: quello della Chiesa viene giudicato poco comprensibile. Ma il problema reale è un altro: i giovani hanno bisogno di testimonianze autentiche, di adulti che si sforzino di essere coerenti con quanto professano, di esperienze appassionanti che facciano cogliere la bellezza profonda dell’appartenenza a Cristo. Invece purtroppo i giovani spesso non incontrano testimonianze persuasive. Ciò che conta è l’autenticità dell’esperienza cristiana vissuta dai fedeli, non il loro numero».

Nella nostra epoca, in Europa, il Signore ha assegnato al popolo di Dio un compito che non è mai stato assegnato prima nella storia: l’annuncio del Suo Regno a società istituzionalmente non religiose. A suo giudizio, fra i cristiani questo compito sta suscitando prevalentemente lamenti o  entusiasmo?

«Il teologo Christoph Theobald afferma che in quest’epoca stiamo assistendo alla esculturazione del cristianesimo dal paesaggio sociale e culturale europeo. È un’immagine veritiera. Purtroppo il compito affidatoci dal Signore mi pare non susciti né particolari lamenti né significativi entusiasmi. A prevalere, direi, è una sorta di tiepidezza, che non genera intraprendenza ma lascia la situazione così com’è: stagnante. Molti si limitano a lamentarsi della crisi in atto e coltivano una visione catastrofista circa il futuro del cristianesimo. Ma la fiamma del cristianesimo continua ad ardere nel mondo! Io conservo ottimismo, non però un ottimismo giulivo; ci sono decisioni da prendere e bisogna agire con intelligenza e passione: questa crisi è un’occasione, non va sprecata».

Nel suo ultimo libro lei individua alcuni temi che è prioritario affrontare in ordine a questa crisi. Vuole illustrarli?

«1) Abbiamo un tesoro prezioso: la Bibbia, che il Concilio Vaticano II ha esortato a conoscere, studiare, pregare. Dopo una stagione appassionante, oggi si notano stanchezza e disaffezione verso una frequentazione assidua e non occasionale della Parola di Dio, anche se esistono alcune benedette eccezioni. Diciamo però che queste eccezioni non riescono a fare massa critica. È necessario che la Chiesa  torni a stare sulla Parola di Dio, che costituisce il timone che guida il nostro navigare nel mondo. 2) La Parola di Dio ci consegna un Gesù, del quale, a mio avviso, in questa nostra epoca sarebbe indispensabile evidenziare, in particolare, due aspetti storicamente sottovalutati: la sua dimensione ebraica e la sua dimensione umana. 3) Ritengo inoltre necessario da parte della Chiesa ripensare le virtù teologali alla luce del passaggio storico che stiamo vivendo, riflettere su come tradurre oggi, nella  quotidianità, fede, speranza e carità».

E poi c’è il tema dell’escatologia.

«Sì: esso suscita profondo interesse anche in quanti non credono. Purtroppo mi pare che la Chiesa non lo proponga con la convinzione e la passione che sarebbero necessarie. Il cristianesimo ha una parola decisiva sulla vita dopo la morte: bisogna ricominciare a pronunciarla. Infine, bisogna ricominciare a pensare, a produrre pensiero alto, capace di incidere sulla cultura contemporanea rispondendo alle sfide della nostra epoca. In ogni fase della sua storia il cristianesimo si è sempre misurato con la cultura del tempo ed è sempre stato all’altezza di questo dialogo, di questo confronto. È necessario tornare a esserlo».

Che cosa vorrebbe dire al singolo fedele che, preso dalle molte  incombenze della vita (lavoro, figli da crescere, genitori da accudire, problemi quotidiani da risolvere, amicizie da curare), pensando alla crisi del cristianesimo poc’anzi descritta, si domanda cosa fare?

«A costui direi ciò che dico anzitutto a me stesso: cerca di stare aggrappato a Gesù e sforzati di essere coerente con quanto professi, cerca di offrire una testimonianza il più possibile limpida. E cerca di farlo insieme agli altri, riscoprendo la fraternità e l’appartenenza alla Chiesa. In un’epoca di forte individualismo, nella quale tutti sembrano voler giocare la partita della vita da soli, bisogna riscoprire questa appartenenza, il noi ecclesiale, evitando partigianerie e faziosità, divisioni, mormorazioni e maldicenze».