L’AQUILA CAPITALE DEL PERDONO NEL SEGNO DI CELESTINO

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Francesco, primo Pontefice ad aprire la porta santa per la perdonanza istituita da San Pietro da Morrone, ricorda che lui non fu il Papa del “gran rifiuto”, ma quello del sì a Dio per una Chiesa di misericordia e povertà

L’Aquila diventa la patria del perdono, sotto il segno di Celestino V, il Papa che, con la sua bolla, istituitì la “perdonanza”, la ricorrenza per cui, nel giorno in cui si ricorda san Giovanni Battista, dai vespri nel 28 agosto a quelli del giorno successivo, si ottiene l’indulgenza plenaria passando per la porta santa della basilica di Collemaggio. Francesco è il primo Papa ad aprire quella porta in 728 anni. Lo fa, alzandosi con fatica dalla carrozzina, percuotendo la porta per tre volte con un ramo d’ulivo. Prima aveva pregato con la consueta lunga litania e aveva celebrato la messa e recitato l’Angelus nel quale ha ricordato le popolazioni del Pakistan e la guerra in Ucraina. Francesco è venuto qui per invocare la pace che nasce dal perdono e per dare forza e vicinanza a quanti continuano a patire le conseguenze del sisma di 13 anni fa. Nell’omelia il Pontefice ha ricordato l’importanza della misericordia che «non si può capire se non capiamo la nostra miseria. Se qualcuno pensa di arrivare alla misericordia senza passare dalla propria miseria ha sbagliato strada», spiega.

E racconta l’aneddoto del suo atterraggio: «Non potevamo atterrare, c’era nebbia fitta, tutto scuro, non si poteva, il pilota dell’elicottero girava, girava, e alla fine ha visto un piccolo buco ed è entrato lì, è risuscito, un maestro». Il Papa aggiunge che «con la nostra miseria succede lo stesso: giriamo, giriamo, e alle volte il Signore fa un piccolo buco: mettiti lì dentro, sono le piaghe del Signore, è la misericordia che viene nella mia, nella tua, nella nostra miseria».

Francesco porta Celestino come esempio: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili». Proprio coloro che «appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà», ha spiegato Francesco. «L’umiltà», ha detto ancora, «non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, Colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere». Dopo aver ricordato la parabola dell’invito a nozze dove è meglio occupare l’ultimo posto per essere poi chiamati in avanti piuttosto che il primo «perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto, per favore e tu vai dietro”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto», il Papa sottolinea che «troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo.L’uomo non è il posto che detiene, l’uomo è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce».

E, infine, il Pontefice auspica che «L’Aquila sia davvero capitale di perdono, di pace e di riconciliazione! Sappia offrire a tutti quella trasformazione che Maria canta nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”; quella che Gesù ci ha ricordato nel Vangelo di oggi: “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. E proprio a Maria, da voi venerata con il titolo di Salvezza del popolo aquilano, vogliamo affidare il proposito di vivere secondo il Vangelo».