Sempre meno fedeli a Messa. «Ecco da dove possiamo ripartire»

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Il calo delle presenze dopo il Covid, l’assenza dei giovani, il disagio per riti “scadenti”. Le diocesi si interrogano sulla partecipazione in crisi alle celebrazioni. Parla il vescovo Busca

Il campanile non chiama più come accadeva fino a pochi anni fa. Invece di un popolo intorno alla mensa eucaristica, c’è un “gregge disperso” che frequenta sempre meno le Messe nelle parrocchie italiane. E qualcuno parla di «chiese vuote». Sintesi semplicistica, a dire il vero, per raccontare il calo della partecipazione alle celebrazioni. Come ha mostrato di recente la testata online dei dehoniani Settimana News.it. Chi prende parte a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione. Una cifra che si è ridotta di un terzo in diciotto anni. «È evidente la diminuzione della pratica della fede. Ma occorre ricordare che l’esperienza ecclesiale non si esaurisce entro i confini del rito. Come narra il Vangelo, Cristo è passato beneficando e risanando tutti quelli che incontrava nei contesti ordinari della vita. Ecco, la Chiesa intercetta non soltanto coloro che si siedono sulle panche ma l’intero popolo di Dio che comprende anche chi si interroga sulla verità e sul bene. Del resto non dobbiamo disconoscere che c’è una diffusa ricerca di spiritualità nel nostro Paese, di cui la Chiesa è chiamata a farsi interprete», spiega il vescovo di Mantova, Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale Cei per la liturgia. E subito propone una domanda: «Dovremmo chiederci: chi si è allontanato da chi? È la gente che si è allontanata dalla Chiesa o da determinate ritualità; oppure è la Chiesa che si è allontanata dalle persone perdendo in parte la sua capacità di incontro nel nome del Vangelo? Comunque spesso siamo di fronte a comunità con legami fragili, con appartenenze deboli e talvolta anche con uno stile di fraternità a velocità variabile».

 

Nodi al centro del convegno del Triveneto che si tiene oggi a Verona dove arriveranno 750 rappresentanti delle quindici diocesi del Nordest con i loro pastori. È la fase finale di un itinerario dal basso che già nel titolo racconta della crisi attrattiva delle liturgie: “Ritrovare forza dall’Eucaristia”. «Nelle sintesi diocesane giunte a Roma per il Cammino sinodale della Chiesa italiana – afferma Busca – è emersa una qualità celebrativa un po’ deludente, un anonimato delle liturgie che non può essere trascurato. Si chiede maggiore attenzione da parte di chi presiede e delle assemblee. Oppure di superare una gestione clericale dei riti. Inoltre viene sottolineato un divario fra liturgia e vita che balza agli occhi soprattutto nell’omelia: in molti hanno manifestato il proprio malessere di fronte a riflessioni che non hanno una lingua materna e non riescono a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda spirituale che si irradia nelle nostre città». Busca sarà uno dei relatori dell’appuntamento di oggi insieme con suor Elena Massimi, religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, presidente dell’Associazione professori di liturgia.

All’appello mancano in particolare i ragazzi: i praticanti assidui tra gli adolescenti (14-17 anni) sono passati dal 37% del 2001 al 12% del 2022 e quelli tra i 18 e 19 anni sono scesi dal 23% nel 2001 all’8% nel 2022. «L’estraneità dei giovani alla liturgia è lo specchio di una Chiesa a due velocità: quella degli “over” che vanno a Messa e quella delle nuove generazioni che si ricompattano nei grandi eventi come la Gmg o che ha forme aggregative diverse rispetto a quella liturgica – osserva il vescovo di Mantova –. Non è vero che i giovani peccano di giovanilismo. Le critiche per riti noiosi, indecifrabili, soprattutto poco vivi e coinvolgenti sono da tenere in debito conto. Fa pensare che a Lisbona i giovani abbiano partecipato con entusiasmo ogni giorno all’Eucaristia o che nei campi estivi le celebrazioni siano accolte positivamente. Inoltre sono gli stessi giovani a privilegiare contesti comunitari, come lo sono quelli liturgici».

Poi c’è la qualità dei riti che può essere riassunta nel motto “Più Messa, meno Messe”. «Succede che si tenga un’Eucaristia domenicale per otto persone e l’ora successiva per altre quindici. Moltiplicare le Messe e smembrare l’assemblea è contrario alla natura dell’Eucaristia che implica il “convergere in uno”. E la quantità rischia di andare a discapito della dignità liturgica». In aiuto possono venire l’arte e il canto. « Non sono elementi accessori ma parte della liturgia stessa – avverte il presidente della Commissione episcopale –. Essi indicano come la lode a Dio si avvalga anche di leve culturali diversificate. Perché culto e cultura vanno di pari passo». E l’altare è sorgente di carità. « Nell’Eucaristia – conclude Busca – Cristo si rende presente per farci dono della sua Pasqua. Un dono ricevuto che diventa dono restituito nel servizio e nell’abbraccio al prossimo. Essere stati alla mensa del Signore apre a una prassi di ospitalità del fratello che è chiamata a farsi annuncio del Risorto. Altrimenti tutto si riduce all’assistenzialismo o alla filantropia».