Spadaro e l’urgenza di «far vedere Gesù»

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Un libro del gesuita raccoglie i commenti al Vangelo pubblicati sul “Fatto Quotidiano”. Nella prefazione papa Francesco sottolinea: «Servono autori capaci di mostrare il Salvatore»

È un’arte del racconto, è un’arte dello sguardo. Il Vangelo è anche questo: un territorio dell’esperienza interiore, nel quale narrazione e visione rivestono uguale importanza. Narratore è Gesù, il Cristo che si esprime in parabole di modo che intenda chi vuole, ossia chi è capace di riconoscersi nell’abissale semplicità delle vicende umane, in quelle storie di padri e di figli, di campi e di greggi, di spose che attendono e di prìncipi uccisi a tradimento. E sono narratori gli evangelisti, che non si limitano a riprodurre i detti del Maestro, ma scelgono di ripercorrere la sua esistenza, soffermandosi su quelli che loro chiamano “segni” e che noi conosciamo come miracoli. Gesù cura, guarisce, in alcuni casi arriva a resuscitare i morti.

Fra i suoi prodigi spicca quello del cieco nato al quale viene restituita la vista, quasi a confermare il legame indissolubile tra sguardo e racconto, lo stesso che adesso ritroviamo in Una trama divina (Marsilio, pagine 206, euro 16), il libro nel quale il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, riordina i commenti ai Vangeli domenicali apparsi negli scorsi anni sul “Fatto quotidiano”. Un’impresa giudicata all’inizio sorprendente, come ammette lo stesso Spadaro, ma che nel corso del tempo si è sedimentata in una inusuale “vita di Cristo”. Inusuale perché il racconto, questa volta, non segue lo svolgimento cronologico dei fatti, ma concentra i diversi brani in tre grandi nuclei tematici: “Prendete” sulla dimensione del dono e dell’annuncio; “Apriti!” sulla carnale concretezza dell’Incarnazione; “Che vuoi da me?” sulla dinamica insondabile della richiesta d’aiuto e della salvezza conseguita. Ma del tutto peculiare è anche il linguaggio adottato da Spadaro, che fin dal sottotitolo dichiara il suo debito per le arti della visione e del racconto, dalla letteratura al cinema senza trascurare l’apporto di musica e pittura.

Da qui la coerenza di quel Gesù in controcampo che troviamo in copertina insieme con un dettaglio dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci nella rivisitazione di Andy Warhol, nella cui arte – annota Spadaro – «non c’è spazio per Dio» o, meglio, « Dio è sempre e soltanto “fuori” rispetto alla sua opera d’arte», così da presentarsi come una sorta di emarginato o inadaptado, secondo la formula adoperata da papa Francesco nella prefazione a Una trama divina. Il ricorso alla dimensione narrativa è una caratteristica che è subito emersa con evidenza nel pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Spesso si è giustamente richiamato il suo rapporto con il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, i cui racconti sono contraddistinti dall’essenzialità inappellabile tipica delle parabole evangeliche. Prima ancora delle innegabili suggestioni letterarie (è noto, per esempio, l’amore del Papa per I promessi sposi), ad agire in Francesco è la pratica dell’immaginazione, sulla quale si fonda la disciplina degli Esercizi spirituali ignaziani esplicitamente richiamati anche da Spadaro.

Un’immaginazione audace, però, inquieta e intraprendente. « A volte siamo oppressi da immagini di Gesù che sono, in realtà, più immaginette che ritratti efficaci », scrive Bergoglio nella prefazione, aggiungendo subito dopo: « Non ci servono, dunque, racconti edificanti, specialmente nei tempi duri che viviamo». Il risuonare dell’«eco di piombo» captata già nell’Ottocento dal poeta gesuita Gerard Manley Hopkins è all’origine dell’appello che il Papa rivolge alla fine del suo testo: « In questo tempo di crisi dell’ordine mondiale, di guerra e grandi polarizzazioni, di paradigmi rigidi, di gravi sfide a livello climatico ed economico abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù».

La richiesta deriva dalla consapevolezza che – sono ancora parole di Francesco – «la trama è propria della storia». Per riconoscerla serve lo sguardo acuminato del narratore, sia pure un narratore anticonvenzionale come Spadaro, che per le sue riflessioni attinge di preferenza alla cultura anglosassone. Si comincia con una citazione dal rock dei Depeche Mode, si passa attraverso i dipinti di Edward Hopper e i versi di Raymond Carver per approdare, fuori dallo spazio del libro, al progetto di un film su Gesù che il regista Martin Scorsese ha voluto rendere pubblico come prima risposta all’invito proveniente da papa Francesco. Che il Vangelo sia «una sceneggiatura (mai hollywoodiana)» è del resto uno degli assunti fondamentali del percorso esegetico-narrativo intrapreso da Spadaro in queste pagine che non somigliano a nessuna delle tante “vite di Cristo” susseguitesi nei secoli e, nello stesso tempo, ne recepiscono con generosità le istanze più autentiche.

Il viaggio descritto in Una trama divina è in effetti un viaggio nel paradosso, dato che assume come punto di partenza l’invisibile evento della Risurrezione. Ma non c’è contraddizione in questo, solo il riconoscimento del fatto che « Dio non si addomestica », perché « Dio è selvaggio. Lo è per natura – prosegue Spadaro – perché di Lui non si può pensare nulla di più grande. È incontenibile». Si può provare a raccontarlo, non ad addomesticarlo. Si può contemplarlo, se lo sguardo è abbastanza paziente da farsi visione.