La Sinodalità diventa prassi della Chiesa. Padre Antonio Spadaro: “Oggi la Chiesa è un luogo di grandi differenze, e stiamo parlando di una comunità che attraversa barriere spaziali e culturali”

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Si è da pochi giorni conclusa una sezione del Sinodo (che si concluderà l’anno prossimo), tappa che è stata importante per la Chiesa Universale. Facciamo il punto con Padre Antonio Spadaro, gesuita e Sottosegretario eletto del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, già Direttore della rivista “Civiltà Cattolica”.

Nel documento finale si parla di modifiche al Codice di Diritto Canonico. Vuol dire che la sinodalità diventa prassi regolare della Chiesa?
È esattamente così. La sinodalità non è l’argomento di un incontro, ma rappresenta la forma stessa della Chiesa. Una Chiesa che è sempre più complessa al suo interno: se una volta aveva nei Pastori dei riferimenti che comunque si erano formati e avevano una mentalità comune, e spesso anche una lingua comune – il latino o l’italiano – perché molti avevano studiato a Roma, adesso invece la Chiesa è un luogo di grandi differenze, e stiamo parlando di una comunità che attraversa barriere spaziali e culturali. La Chiesa vive nelle corde tese del Nord e del Sud del mondo, nelle tensioni tra conservatori e progressisti, in contesti di ricchezza e di povertà. È necessario, dunque, che la Chiesa cammini insieme. In fondo, questa è l’immagine che a me è rimasta di più della fine del Sinodo, l’immagine di una grande nave, un transatlantico direi, capace di solcare gli oceani, dove tutti lavorano perché possa andare avanti con a bordo tutte le differenze. Però maggiori sono le diversità, maggiore è la necessità di condividere il cammino, di riflettere insieme, di prendere decisioni comuni, di ascoltare. Una delle cose che, ad esempio, hanno caratterizzato questo Sinodo è stata non solo l’espressione di ciascuno, ma anche l’ascolto che ciascuno ha dedicato agli altri e anche all’interno dei tavoli dei gruppi. Quindi adesso capisco quello che Papa Francesco mi disse per la prima volta nella mia intervista per «La Civiltà Cattolica» del 2013: lì mi parlò di una Chiesa più sinodale. Quindi stiamo parlando di un’idea che Francesco aveva chiara fin dall’inizio del suo pontificato, era l’agosto 2013 appunto. Io capisco pienamente le sue parole solamente adesso. Quindi la risposta è sì, la sinodalità deve diventare prassi della Chiesa, avendo anche delle strutture idonee, dei momenti idonei, necessari per poter andare avanti.

Si conferma l’opzione per i poveri. Che cosa vuol dire questo per una Chiesa sinodale?
Si dice chiaramente nel documento finale che l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede. Gesù povero ha fatto amicizia con i poveri, ha camminato con i poveri, ha condiviso la sua vita, la tavola con i poveri, ha denunciato le cause della povertà. Quindi per la Chiesa l’opzione per i poveri non è un’opzione sociologico-politica, o meglio non è solo questo, ma è soprattutto un’opzione teologica, ovvero ha un valore fondamentale. E chiaramente i poveri hanno molti volti: sono coloro che hanno bisogno del necessario per vivere, ma ci sono anche i migranti, i rifugiati, come i popoli indigeni a cui il Papa ha dato molta attenzione, coloro che subiscono violenza e abusi, gli anziani abbandonati. Quindi la bellezza del Sinodo è che è riuscito a descrivere i volti della povertà che sono molteplici, inclusa la povertà spirituale. L’impegno della Chiesa dev’essere quello di arrivare alle cause della povertà e dell’esclusione. Quindi non basta tamponare o lavorare a spot per individuare piccole situazioni da migliorare, ma occorre comprendere quali sono le cause radicali che portano alla povertà. Chiaramente, ci sono tante sfide da affrontare, ma oggi c’è bisogno di comprendere meglio la dottrina sociale della Chiesa, che forse è una risorsa troppo poco conosciuta su cui tornare a investire.

Il volto tratteggiato dal Sinodo è quello di una Chiesa “da ogni tribù, lingua popolo e nazione”. Nessuno è straniero nella Chiesa, è così?

Mi risuonano le parole che Francesco ha detto alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona e che ha poi ripetuto anche a Marsiglia, e cioè “todos, todos, todos” – “tutti, tutti, tutti”, cioè la Chiesa è la casa di tutti, l’accoglienza è la base fondamentale, nessuno – per nessuna ragione – deve sentirsi straniero. È chiaro che è interessante appunto vedere anche all’interno del Sinodo la presenza, molto visibile, di persone provenienti da tutti i continenti e da tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili e di crisi. Quindi veramente gente da ogni tribù, lingua, popolo e nazione. Ed è interessante come la prospettiva vissuta da queste persone fosse una prospettiva di pace, di solidarietà nel dolore, in un momento in cui le fratture nel mondo sono forti. A me ha fatto tanta impressione il fatto di essere seduto allo stesso tavolo con l’Arcivescovo cattolico di Mosca e l’Arcivescovo maggiore di Kiev, come anche il fatto di aver saputo degli attentati di Hamas in Israele da una partecipante del Sinodo che è israeliana ma di famiglia araba. Quindi c’erano non solo tribù, popoli e nazioni, ma anche tutti i conflitti e le tensioni che questo mondo sta vivendo.

Sulle donne all’interno della Chiesa il processo è avviato… si arriverà presto al diaconato?
Questo non possiamo saperlo, dato che il processo deve realmente dispiegarsi in un secondo appuntamento l’anno prossimo. Certamente avremo davanti un anno molto impegnativo. Una cosa certa è che il tema delle donne è emerso con grande forza all’interno del Sinodo, portato avanti dalle donne presenti al Sinodo stesso, ma non solo da loro. Quindi, certamente, il tema della presenza della donna nella Chiesa, del suo ruolo specifico, anche ai livelli decisionali più alti, è una questione che si pone con grandissima urgenza e con grande chiarezza.

La comunità LGBTQ si aspettava più coraggio…
Sì, è vero: alcuni si sono sentiti un po’ delusi dalla conclusione del Sinodo sulla questione che riguarda le persone omosessuali. A guardare bene, l’obiettivo del documento di sintesi era di mostrare e far capire quale è la situazione attuale, mettendo insieme anche il confronto e la diversità delle opinioni e delle sensibilità che c’è all’interno della Chiesa, e quindi abbiamo sperimentato questa differenza di posizioni. Però c’è da notare che il documento di sintesi ha dichiarato chiaramente, e quindi approvato con la stragrande maggioranza dei voti, che il Sinodo ha compreso che alcuni aspetti, quali, appunto, quelli relativi alle questioni di genere e all’orientamento sessuale, risultano controversi non solo nella società, ma anche nella Chiesa e pongono domande nuove, e quindi ammette anche che le categorie antropologiche che la Chiesa ha elaborato fino ad oggi non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono proprio dall’esperienza o anche dalla riflessione sull’esperienza umana, e quindi chiede il tempo necessario per questa riflessione. Il documento ha richiesto anche la schiettezza del confronto, dando voce alle persone direttamente coinvolte, quelle che vivono questa esperienza. Questo percorso dovrà essere avviato in vista dell’anno prossimo, della prossima sessione sinodale. Quindi direi che il Sinodo ha dato, col documento di sintesi finale, una base solida e condivisa dalla stragrande maggioranza dei padri sinodali, per avviare questa riflessione.