Movimenti ecclesiali e papa Francesco (di Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo)

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Dal 2014 hanno avviato un’esperienza congiunta di ricerca e insegnamento. Don Paolo è professore di teologia e parroco. Filomena è professoressa di teologia, madre e moglie. Insieme portano avanti un progetto di “teologia in contesto”, pubblicando libri, articoli e interviste e organizzando seminari, dibattiti, corsi di teologia, sia in Italia, sia all’estero, per favorire l’accoglienza nella Chiesa della profezia del Concilio e promuovere il ritorno della teologia nell’ambito della cultura e della scienza contemporanea. Nel 2019 sono stati responsabili della rubrica “Nuovi stili di missione”, della rivista “Popoli e Missione”. Hanno preso parte all’organizzazione di “Amazonía casa común”, accompagnando così il Sinodo sull’Amazzonia. Ultimo libro insieme: Il sogno di Dio: una nuova umanità (San Paolo 2021).

Papa Giovanni Paolo II vedeva nei movimenti laicali l’energia dello Spirito santo per realizzare le profezie del Concilio. Benedetto XVI le considera “minoranze creative” per l’azione evangelizzatrice. I movimenti sono rapidamente scivolati nelle due tentazioni della Chiesa del XX secolo: l’ebrezza del numero con le grandi adunanze; la forza delle équipe, di quelle élite, di quei gruppi esclusivi che selezionano e pretendono di essere vera luce per la Chiesa e faro per la società.

Papa Francesco: invito a ripensarsi

Con papa Francesco, qualcuno ha l’impressione che i movimenti siano diventati orfani della benevolenza papale, e colpiti da una eccessiva rigidità. Invece Bergoglio, consapevole del cambio epocale, chiede anche a loro un profondo discernimento di purificazione, per affrontare con parresia i tanti pericoli e problemi che per troppo tempo sono stati sottaciuti, e per essere davvero “una forza missionaria ed una presenza di profezia”, camminando insieme nella fratellanza, con spirito sinodale.

Il percorso di ripensamento che devono affrontare, attraverso la “ri-recezione” del carisma, è di natura antropologico-teologica fondamentale e ruota intorno alla credibilità. L’antropologia e l’ecclesiologia del Vaticano II, che auspicava la nascita di un uomo nuovo, muove ancora i primi passi.

Nello spirito del Concilio

La ricchezza dei movimenti, nello spirito conciliare, è stata quella di valorizzare l’apporto libero e consapevole dei laici nella Chiesa, superando la concezione di una milizia al servizio del clero. Sono riusciti a rompere i filtri e i diaframmi, per creare comunione e partecipazione. Affondano le loro radici nell’uguaglianza di tutti i battezzati, nella condizione di figli di Dio, principio fondativo e titolo di dignità nella Chiesa, come presentato nel capitolo II della Lumen gentium, che ha messo fine al rapporto asimmetrico fra gerarchia e fedeli.

I pericoli più frequenti

Questo dono è stato limitato da una concezione della santità preconciliare, legata ancora a fenomeni eccezionali e ad esperienze straordinarie, con al centro la figura del fondatore, fonte di ispirazione per i membri, rivestita di una “presunta perfezione” da imitare. Non hanno osato aprirsi agli orizzonti di una santità comunitaria. Più che opera dello Spirito santo la nascita e il fiorire del movimento sono legati all’uomo o alla donna che l’ha fondato. La narrazione della sua vita da tramandare, assume aspetti mitologici e agiografici. La perfezione totalmente realizzata nel fondatore e che assicura felicità e santità consiste nel rispetto delle norme e nell’obbedienza al movimento. Un cammino di uniformazione che cristallizza il carisma e porta a chiudersi in un percorso esclusivo e nostalgico che di fatto ignora quello della Chiesa nel mondo. Prova di santità verso gli altri è il successo dell’organizzazione, anche a scapito della felicità delle persone che aderiscono. Spesso l’entusiasmo dell’appartenenza, delle adunanze, ha connotazioni più psicologiche e sociologiche che di esperienza libera di fede. Il carisma rapidamente diventa leadership, come se per continuare ad esistere avesse bisogno dei meccanismi di fascinazione umana. Soltanto il movimento è la comfort zone che fa stare bene, il luogo dove ci si rifugia. L’esterno, anche se non è più lo spazio “diabolico” da fuggire, è il luogo di azione ma non di comunione. Si esaltano le contrapposizioni salvezza – mondo, grazia – peccato, scelti – scartati.

La cartina di tornasole

La cartina al tornasole è il rapporto con i fuoriusciti, i dissociati, spesso avvolti in storie di dolore profondo. Gli scartati sono il fallimento taciuto del fenomeno ecclesiale di queste aggregazioni. Non stiamo parlando degli abusi e degli scandali. Uomini e donne che fuoriescono dall’orbita dei movimenti e scompaiono nell’insignificanza. È in gioco la “qualità alta delle relazioni interpersonali”, come dice papa Francesco, che si sono intessute, la sequela di Cristo, il modo come al loro interno hanno concepito la communio cum Deo e la communio fidelium. È la testimonianza da offrire al mondo e agli stessi membri del movimento. La cura di chi si allontana rappresenta la prima sfida missionaria da affrontare senza alibi, la periferia esistenziale che attiene alla loro finalità specifica di santificazione, la loro vera prova di credibilità. Il disaccordo non deve più spaventare: nei punti ciechi della partecipazione, nella “zona grigia”, la Chiesa dovrebbe diventare inclusiva, allargare i suoi orizzonti, trasformarsi, camminare verso il Regno. Bisogna superare la paura che esso sia sinonimo di peccato, o di rottura dell’obbedienza e dell’unità. Il disaccordo non ha nulla a che fare con il diavolo (diabolus), colui che divide e rompe la comunione con Dio e con i fratelli. Aiuta a risintonizzarsi con il mondo, come auspicava la Gaudium et spes, o almeno ad essere più consapevoli. Le voci discordanti sono elementi fisiologici in una comunità, permettono di trasformare i criteri decisionali per eliminare pregiudizi. Il processo sinodale che chiede papa Francesco è una nuova “qualità di ascolto dell’ispirazione divina”, una comprensione più profonda della verità.

Un problema antropologico mai risolto

Le associazioni laicali possono aprire un laboratorio umano sull’accettazione dei fallimenti, tracciare un percorso che aiuti tutta la Chiesa. È un problema antropologico mai risolto che ha portato a scismi, condanne, persecuzioni, roghi, abbandoni e indifferenza.

È lo stesso problema che sperimentano gli ordini religiosi. Sia loro, sia i movimenti vivono un difficile ricambio generazionale. La credibilità per gli interni si gioca sulla carità e sulla qualità delle relazioni, non funzionano le strategie, le apparenze e i meccanismi di fascinazione. Il compimento delle promesse è una richiesta lecita e vitale: unità, santificazione, gioia, pace, solidarietà, guarigioni del cuore, servizio agli ultimi, accoglienza, si svuotano di significato. L’enunciazione dei messaggi va in corto circuito, perché di fatto la bassa qualità dei rapporti interpersonali evidenzia la sfiducia nella forza della comunità. Si è rinunciato a credere nella santità comunitaria, nella libertà e nell’amore.

Bisogna iniziare con l’accettazione delle difficoltà

Queste aggregazioni ecclesiali sono frutto del Vaticano II in senso ampio; anche se nate prima, la loro crescita e la loro maturazione sono avvenute nel tempo conciliare. Come mai sono cadute nella tentazione di percepirsi “grandi opere di Dio” vittoriose, con una antropologia estranea al Concilio? Manca il discernimento teologico sulle alleanze tra Dio e gli uomini, che sono narrazioni di fallimenti. Esse sono tutte vigenti perché mai revocate e rispecchiano la misericordia di Dio: l’alleanza di Adamo ed Eva, l’alleanza di Noè, l’alleanza di Abramo, l’alleanza di Mosè. Anche l’alleanza di Cristo è piena di fallimenti: «Molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui… “Volete andarvene anche voi?”» (Gv 6,66-67). I movimenti, come la gerarchia ecclesiastica, cercano istintivamente di nascondere gli insuccessi e le infedeltà e di far apparire la storia cristiana come un trionfo, sostituendo le grandi sconfitte dell’amore proposto da Cristo, con l’esaltazione di vittorie mondane.

Si riattualizza la parabola del fariseo e del pubblicano

Essere gruppi narcisisti presuntuosi che si autoesaltano, o peccatori che umilmente chiedono la misericordia di Dio. La grande sfida per queste realtà aggregative è accettare la visione conciliare di un’unica storia che va verso la salvezza, condivisa da tutti gli uomini, e fortemente indicata da Gesù Cristo (Mt 21,31). Non esistono gruppi privilegiati che si assicurano la salvezza rispetto a tanti che ne sono privi, ma esistono “riflessi singolari di un’unica Chiesa” che va verso il compimento del regno di Dio. Bisogna accettare di avanzare tutti insieme, sapendo che altri, per vie misteriose, ci precedono e ci accompagnano.

Cosa chiede papa Francesco

Ai movimenti va riconosciuto il merito di percorrere alla sequela di Cristo la bella strada della “pro-esistenza”, vivere-per gli altri. Papa Francesco chiede loro ancora di più: “avere uno sguardo senza veli”, non funzionale a se stessi, ma di “essere-con”, aprirsi alla sofferenza in comunione con gli altri, per la vittoria dell’amore e della redenzione.

Per progredire nella carità attraverso processi di rigenerazione sul piano catechetico e formativo, la sfida per queste associazioni di fedeli è di aprirsi ad una teologia “semplice”, conciliare, in chiave pastorale e missionaria, chiara ed essenziale, alla portata di tutti. In tal modo i loro membri possono diventare “corresponsabili” del carisma, farlo crescere, portarlo a pienezza e beneficiare la Chiesa.